Nella nostra lezione studieremo il caso di una grande metropoli americana, Chicago, nata e cresciuta solo da un secolo e mezzo, solo per ragioni economiche, e popolatasi solo attraverso l’immigrazione.
In questa città le ondate successive di migrazione hanno fatto sì che la lotta di classe produca la lotta tra etnie e razze, che i conflitti economici siano alla base degli odi razziali. Inoltre a Chicago il tentativo operato dalle amministrazioni municipali di dare soluzione a un problema pratico – la crisi degli alloggi – invece di risolvere i contrasti etnici e sociali ha, al contrario, incentivato e consolidato l’odio razziale. Si può dire inoltre che gli apparati burocratici abbiano da parte loro fomentato queste ostilità creando tassonomie discontinue. Si deve precisare che sostituire distribuzioni continue con tassonomie discontinue è appunto una caratteristica dei mercati moderni (mercati delle merci – i futures, mercati degli umani – i censimenti).
Nel prosieguo della lezione metteremo in luce quale sia il ruolo delle categorie burocratiche nel creare nuove identità. A quanto pare il rigurgito di identità etnico-razziali non è un residuo primordiale che riaffiora nella modernità, bensì ne è un prodotto originale.
A conclusione prenderemo in esame il fenomeno delle migrazioni attuali nelle quali – a differenza di quelle ottocentesche – la rapidità e la facilità delle comunicazioni e dei trasporti rendono l’assimilazione e l’integrazione sempre più difficili e quasi impossibili facendo della metropoli un mosaico di comunità transnazionali.
Il “capitalismo automobilistico” decentra, e scentra, nel comando, nell’organizzazione del lavoro, nella logistica, nella vita quotidiana degli umani, nell’idea che ci facciamo della civiltà. Automobile e camion collegano tra loro zone a densità così bassa che resterebbero isolate in un mondo ferroviario. Il capitalismo a quattro ruote stravolge la nostra secolare immagine di città, consente che le periferie siano collegate tra loro, mentre prima erano connesse solo dal centro per il centro e attraverso il centro. Fa sì che sia possibile un’area metropolitana senza metropoli, senza centro città, senza downtown. Che la periferia non sia più periferia di nessun centro, ma sia autocentrata. L’ideale civile non è più l'”urbanità”, ma la “suburbanità”: al contrario che in Europa, negli Stati Uniti il termine “suburbio” ha una valenza positiva. In questo nuovo spazio che non è più città e non è più campagna, la massima aspirazione, il fine dell’umano vivere è possedere e abitare una villetta unifamiliare con garage, circondata da un prato che ti separa più di un muro dal tuo vicino uguale a te con il suo prato e il suo garage. Ma sotto la grazia di suburbi alberati, sotto la diaspora sociale in giardini e vialetti, il “capitalismo su ruota” delle casette unifamiliari esaspera la segregazione di razza e di classe e spinge questa società verso l’implosione, la disintegrazione interna.
In nessuna città come a Chicago il capitalismo su ferro ha dispiegato la sua potenza, ha forgiato popoli, ha plasmato culture, ha spostato e deportato milioni di vite umane. In nessun posto come qui è possibile studiare i monumenti di questo capitalismo, scavare nei fenomeni che ha suscitato, analizzare le ondate di migrazione che le ferrovie hanno abbandonato sulla riva del Michigan, registrare l’ascesa e il declino di commerci e di industrie. Poiché è ormai trascorsa l’epoca del capitalismo su ferro, lo studio di Chicago, di una città vecchia meno di due secoli, è già un’archeologia, un’archeologia della modernità. (…) Ma nello scavare più a fondo le domande ti assillano, ti rode un tarlo: e allora? E poi? Quale domani? Cerchi le tracce dell’avvenire, gli indizi che ti traccino un percorso. Ecco perché un rapporto da Chicago diventa qualcosa di più, è un’archeologia del futuro.
Quest’ansia del futuro assillava già Sombart che novant’anni fa si chiedeva come mai, se il movimento socialista è un prodotto del capitalismo, il paese più capitalista di tutti, la Mecca del capitalismo, non ha generato un socialismo: “Il futuro sociale dell’Europa e dell’America si formerà in modo uguale o diverso? Se uguale, sarà l’America o l’Europa il ‘paese del futuro’?”.
(da Marco D’Eramo, Il maiale e il grattacielo, Milano, Feltrinelli, 1995, pp. 17-18)
Riferimenti Bibliografici
- Anderson Benedict, Reflection on the Origin and Spread of Nationalism, London, Verso, 1983; The New World Disorder, in «New Left Review», n. 193, maggio/giugno 1992, pp. 3-14;* (entrambi questi testi sono presenti nel volume curato da Marco D'Eramo, Comunità immaginate, Roma, Manifestolibri, 1996);*
- Bourdieu Pierre, "Effects de lieu", in Pierre Bourdieu et al., La misère du monde, Paris, éd. du Seuil, 1993, pp. 159-167;*
- D'Eramo Marco, Il maiale e il grattacielo. Chicago, una storia del nostro futuro, Milano, Feltrinelli, 1995;*
- Jackson Kenneth T., Crabgrass Frontier. The Suburbaninization of the United States, New York, Oxford University Press, 1985;
- Massey Douglas et al., Return to Aztlàn. The Social Process of International Migration from Western Mexico, Berkeley, University of California Press, 1990;
- Steinberg Stephen, The Ethnic Myth. Race, Ethnicity and Class in America, Boston, Beacon Press, 1981;
- U.S. Bureau of the Censuss, Statistical Abstract of the United States 1993, Washington D.C., Government Printing Office, 1994;°
- U.S. Bureau of the Censuss, Historical Statistics of the United States. Colonial Times to 1970, Washington D.C., Government Printing Office, 1975;°
- Wright Lawrence, "One Drop of Blood", in «The New Yorker», 25 luglio 1994, pp. 46-55.
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
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