I grandi sistemi di intervento sociale (l’assistenza, la sanità, l’educazione, ecc.) che si sono sviluppati nell’alveo del welfare state come dispositivi di base della cittadinanza, sono oggi sottoposti alla divaricazione tra crescenti vincoli di spesa e problemi sociali emergenti. Da un lato, essi sono oggetto di misure restrittive e tagli di spesa, delegittimati come un lusso non più sostenibile e come un intralcio alla nuova crescita economica. Dall’altro essi appaiono drammaticamente inadeguati rispetto ai problemi sociali cui dovrebbero rispondere, che comunque persistono, anzi si moltiplicano in conseguenza anche del tipo di crescita economica in atto. Sono problemi di grande portata sia sotto il profilo quantitativo (si pensi per esempio in quali proporzioni le popolazioni delle nostre società ricche sono coinvolte nell’esperienza delle nuove povertà e della nuova vulnerabilità sociale; e si pensi d’altra parte anche ai flussi migratori), sia rispetto alle divisioni e lacerazioni nel tessuto sociale che essi tendono a generare. Non v’è dubbio perciò che i servizi sociali vadano ripensati. In proposito vi è un discorso diffuso, al limite del senso comune, in cui la soluzione è cercata lungo le seguenti linee: lo Stato, impoverito e inadeguato, deve ritirarsi dalla gestione diretta dei servizi, per assumere soltanto funzioni di indirizzo e di controllo. Lo spazio liberato viene così occupato da iniziative della società civile, di mercato o solidali: è lo spazio per lo sviluppo del terzo settore, che può assumersi il compito di sviluppare servizi sociali in forme che promettono di combinare assieme solidarietà e libertà, efficienza e orientamento al cliente. Questo discorso di senso comune accompagna e registra un processo per molti aspetti irreversibile. Ciò significa che per un verso ogni risposta improntata a criteri di difesa dell’impalcatura storica del welfare state è destinata ad essere sopraffatta dalla forza e dalla velocità del progresso. Ma d’altra parte questo processo può e deve essere orientato e qualificato rispetto agli esiti, anche molto diversi, che da esso possono derivare. La capacità e libertà d’iniziativa sociale, e la stessa solidarietà, non sono da soli garanzia di tenuta – e tanto meno di ricomposizione – del legame sociale e della convivenza civile: la società civile può anche rivelarsi profondamente incivile. E dunque i criteri per le scelte e le azioni in questo campo, devono essere oggetto di riflessione scientifica e di discussione pubblica.
Riferimenti Bibliografici
- F. Archibugi, L'economia associativa. Sguardi oltre il welfare state e nel post-capitalismo,Torino, Comunità, 2002;
- A. B. Atkinson, Welfare state. Le conseguenze economiche dei tagli allo stato sociale, Milano, ETAS, 2000;
- O. de Leonardis, In un diverso welfare, Milano, Feltrinelli, 1998;
- M .Ferrera, Modelli di solidarietà, Bologna, il Mulino, 1993; *
- M. Ferrera, Le trappole del welfare, Bologna, il Mulino, 1998;
- F. Girotti, Welfare state, Roma, Carocci, 2000;
- C. Ranci, Oltre il welfare state, Bologna, il Mulino, 1999.
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