L’attenzione ai tempi e agli spazi dei processi di soggettivazione, alle relazioni con l’altro, alle modalità di dispiegamento di una sensibilità “comune”, è ciò che oggi conta per un dispositivo teorico – o più semplicemente: una tipologia di ricerca – in grado di indicare, con una certa “precisione”, la presenza, nella dimensione “estetica” dell’essere umano, di una sensibilità corporea, di una organizzazione tecnica e di una organizzazione sociale che rinviano alla dinamica degli affetti e dei desideri all’interno della cosiddetta “società iperindustriale”.
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Pensare la tecnica nella complicazione prodotta dalla naturale artificialità dell’essere umano, non soltanto in senso antropologico, ma in direzione di una chiarificazione della sua qualificazione sociale: questo è l’intento del mio lavoro […], svolto attraverso il confronto anche con dei paradigmi concettuali sintetizzabili in più formule: «società dell’incertezza», «nuovo capitalismo», «postfordismo». Non mancano qui – a testimonianza di un interesse rispetto al rapporto tra l’antropologia e l’estetica, da rilanciare in avanti, a partire da un presente in evidente e radicale trasformazione – le attenzioni alle pratiche letterarie ed artistiche in grado oggi di fornire valide indicazioni sugli sviluppi delle metamorfosi «antropologiche», delle «ibridazioni», delle combinazioni tra l’umano e il macchinico. E non è neppure assente una lettura per così dire «politica» del nesso tra antropologia filosofica e teoria sistemica, che si vuole avvertita nei confronti di un utilizzo non scontato – per una migliore comprensione dei processi di soggettivazione in atto – del pensiero della complessità. Certamente sullo sfondo di queste mie annotazioni è da rinvenire l’idea che non sia poi così importante, come scrivono G. Deleuze e F. Guattari, «confondere» l’uomo e la macchina, per rilevarne «corrispondenze, prolungamenti e sostituzioni possibili o impossibili dell’uno con l’altra». In tale prospettiva, vale anche per me il tentativo di far comunicare l’uomo e la macchina, di far vedere come «l’uomo fa ingranaggio con la macchina, o fa ingranaggio con altre cose per costituire una macchina» […]. Alla base di tutto questo c’è l’affermazione dell’idea di una differenza di natura tra l’utensile e la macchina: a partire da un’analisi dei caratteri del primo, si è sviluppato infatti uno schema di ragionamento che ha facilmente assorbito la seconda, ponendo l’utensile come «prolungamento e proiezione del vivente, operazione attraverso la quale l’uomo progressivamente si sgrava», prendendo atto di un’evoluzione dall’utensile alla macchina che sembra addirittura poter fare a meno, ad un certo punto, del protago-nismo/primato dell’uomo stesso.
(U. Fadini, Soggetti a rischio. Fenomenologie del contemporaneo, Troina, Città Aperta, 2004, pp. 7-8)*.
Riferimenti Bibliografici
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