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Nei libri di Oriana Fallaci e in altri simili, relativi ai musulmani, assistiamo alla sistematica costruzione dell’immagine di un nemico irriducibile con il quale non ci sarebbe alcuna possibilità di intesa. Sono testi che danno voce a un disagio reale, diffuso nell’opinione pubblica e acutizzatosi a causa dei timori collegati al fenomeno del terrorismo internazionale di matrice islamica. Davvero non vi sono forme praticabili di coesistenza tra due antiche tradizioni culturali e religiose in un’epoca nella quale esse si trovano a vivere una crescente intensificazione di contatti? Che quest’ultima comporti problemi e che non siano né pochi né di scarso rilievo i rischi che la gestione di un simile fenomeno porta con sé è del tutto evidente. Ma proprio qui sta il punto. La domanda essenziale che dobbiamo porci è appunto se il multiculturalismo sia un fenomeno gestito o semplicememente subito, di fronte al quale prevalgono atteggiamenti comunque inadeguati. Non ci vuol molto ad accorgersi infatti che, come contraltare della posizione demonizzante appena ricordata, l’atteggiamento più comunemente diffuso è quello del relativismo o, per dirla in modo più chiaro, dell’indifferenza. Che gli esseri umani si stiano mischiando è un fatto, molto meno sicuro è che le culture si stiano incontrando. La presenza tra di noi di un folto gruppo di uomini che appartengono all’islam è segno di un’evoluzione generale del nostro pianeta verso livelli di integrazione sempre maggiori che propongono in forma inedita le questioni relative al rapporto tra differenti tradizioni religiose e culturali le quali si mostrano sempre più evidentemente intrecciate, ma al tempo stesso destinate ad affrontare più direttamente, date le distanze ravvicinate, i problemi sollevati dalla loro diversità. Si tratta di sfide non prive di salutari provocazioni e spunti di riflessione per ciascuno. Se qualcosa possiamo imparare, non è meno vero che abbiamo anche non poco da proporre. Di fronte a una simile situazione, carica certamente di tensioni ma non priva di stimolanti opportunità, risulta evidente l’inadeguatezza di ogni visione che si limiti a paventare i pericoli di un Europa cristiana e civile assediata dai nuovi barbari del fondamentalismo musulmano. Anzitutto bisogna tener presente che l’integralismo religioso interessa solo una minoranza di islamici, anche se si tratta purtroppo della sola che riesca a far parlar di sé, rivendicando illegittimamente la rappresentanza di tutti gli altri. D’altro canto, neppure gli stessi paesi europei od occidentali sono riconducibili a un medesimo modello. A differenza di altri, l’Italia è un paese sostanzialmente sprovvisto di forti “paradigmi” etnico-culturali (come la Germania) o ideologici (come la Francia) che facciano decisamente pendere il pendolo verso l’assimilazione dei nuovi arrivati. Avremmo dunque, in teoria, alcuni vantaggi nello sviluppare una politica d’integrazione efficace. Nella maggior parte dei casi, invece, ci limitiamo a darci da fare per risolvere questioni concrete, come quelle legate alle prime necessità degli immigrati.
Riferimenti Bibliografici
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
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