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Nell’ampio repertorio delle violenze umane, ce n’è una particolarmente atroce i cui fenomeni potrebbero essere riassunti sotto la categoria di orrorismo. Il ricorso a un vocabolo di nuovo conio deve qui ridursi non solo all’ovvia assonanza con il termine terrorismo ma, prima ancora, al bisogno di sottolineare quel tratto di ripugnanza che, accomunando molte scene della violenza contemporanea, le ingloba nella sfera dell’orrore piuttosto che in quella del terrore. Di modo che basterebbe forse nominare l’orrore, senza neanche spingersi alla fastidiosità del neologismo. Il neologismo suppone che qualcosa sia nuovo, diverso, recente. Ma cosa c’è, dopo tutto, di nuovo nella carneficina e nella tortura? Cosa c’è di diverso nei corpi che bruciano sotto le bombe incendiarie? Cosa c’è di recente nella solita e vecchia strage degli innocenti? Una semplice risposta potrebbe essere che nuova, almeno a prima vista e in certe circostanze, è la modalità con cui questa strage viene ora messa in atto: un corpo che si fa esplodere per dilaniare altri corpi. E per di più, come sempre più spesso succede, un corpo femminile, anzi, a volte, un corpo di madre incinta. Raggiungendo il vertice dell’asse che affonda nella sua stessa radice, l’orrore più antico così si rinnova. Chiamarlo terrorismo, argomentando, magari, che esso si inscrive in una strategia del terrore dal volto particolarmente atroce, sarebbe troppo poco. Chiamarlo orrorismo aiuta invece a ipotizzare che un certo modello dell’orrore sia indispensabile per comprendere il nostro presente. Di questo orrorismo, che oggi dilaga, Medusa e Medea sono appunto le icone antiche. L’una ci ricorda che “l’uccisione dell’unicità”, come direbbe Hannah Arendt, è un crimine ontologico che va ben la di là della morte. L’altra ci conferma che tale crimine si consuma su un corpo vulnerabile ricondotto alla situazione primaria dell’assolutamente inerme. Ed è utile precisare che, benché la scena dell’infanzia li unisca facendoli coincidere, vulnerabile e inerme non sono termini sinonimi.
(da A. Cavarero, Orrorismo, ovvero della violenza sull’inerme, Milano, Feltrinelli, 2007, pp.41-42)*
Riferimenti Bibliografici
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