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La tradizione economica, giuridica e teologica francescana, ossia la dottrina sociale e religiosa prodotta da un gruppo influente di intellettuali riconosciuti dalla società civile come competenti in materia di arricchimento o del suo contrario, la povertà volontaria, diede molta importanza, fra medioevo ed età moderna, al protagonismo civile dei mercanti e delle loro “compagnie”. La passione con cui questi evangelizzatori e legislatori stabilirono che il bene comune – per essere veramente cristiano – doveva includere la ricchezza individuale prodotta da chi non la tesaurizzava ma la investiva e la faceva circolare, stabilì, riprendendo temi della riflessione cristiana precedente, una diretta continuità fra logiche della produttività spirituale e logiche dell’arricchimento civico (o se si preferisca collettivo). L’obiettivo di questi discorsi fu, in sintesi, di rintracciare nella prassi dei gruppi economicamente attivi nelle città un senso organizzabile secondo categorie comunicabili e predicabili a partire dai vocabolari culturalmente specifici desunti dai linguaggi cristiani dell’ascesi e della Salvezza. In questa prospettiva il sistema delle relazioni civiche venne rappresentato dalla Scuola francescana nei termini di una produttività economica analoga a quella spirituale e religiosa. Allo stesso tempo la specificità del rapporto fra ricchezza collettiva e attivismo economico individuale, tanto tipica della riflessione francescana sul bene collettivo, venne definendo con chiarezza, soprattutto dalla fine del Trecento, una netta distinzione fra chi, nella città, era utile e produttivo e chi invece era inutile, inefficiente ed escluso pertanto dal godimento del “bene comune”.
Riferimenti Bibliografici
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