La domanda retorica "Che cosa, dunque, ha insegnato l’Illuminismo, che cosa di quel che è stato ancora ci parla?" può trovare risposte che sarebbero ovvie se non fossero state troppo spesso dimenticate L’Illuminismo ha infatti insegnato con tutti i suoi limiti, la tolleranza (valore necessario, e certo non sufficiente, che è tuttavia base per una sua evoluzione dialogica) e l’ironia, che è capacità di cambiare registro, in modo da permettere di cogliere le sfumature che attraversano la realtà, consentendo a Diderot, al tempo stesso, di progettare l’Encyclopédie e di scrivere romanzi licenziosi o arguti, e a Voltaire di comporre in versi drammi oggi poco leggibili e lievi romanzi ricchi di fascino e brio stilistico. Quando questi valori vengono meno, scompare progressivamente la forza innovativa della stagione dei Lumi: il confronto tra le Memorie di Voltaire, con il loro giocoso fatalismo, e le Confessioni di Rousseau, che piegano la vita alla serietà di un monumento narcisistico potrebbe essere istruttivo. I Lumi sono la capacità di coltivare insieme sentimento e ragione, sorriso e rigore, natura e civiltà, in un quadro enciclopedico in cui, cioè, i saperi e i modi di vita possano confrontarsi non per scontrarsi, bensì per dialogare, per insegnare che senza questo dialogo, questa capacità di unire il diverso, non c’è autentica conoscenza. Il sapere non può essere chiuso nell’intimità di un soggetto orgoglioso, bensì deve nascere nella conversazione, cioè dove si insegna quel che a parere di Diderot è stato dimenticato da Rousseau, cioè che un uomo solo è spesso cattivo e che la "chiacchiera" vuota e ripetitiva può diventare densa e progettuale se prende come suo orizzonte il senso e la varietà dell’apparire del mondo, e del viaggiare dell’uomo in esso. Tolleranza, ironia, conversazione, dialogo, viaggio sono le "ovvietà" dei Lumi che non possono venire dimenticate, ponendosi a guardia di una filosofia che non voglia trasformarsi in un narcisismo che le ingloba, in cui si scambia un punto di vista sulle cose per la verità delle cose stesse al loro primo apparire. Da questa ovvietà discendono meno ovvie conseguenze, che disegnano un’autentica proposta cognitiva.
(da E. Franzini, Elogio dell’Illuminismo, Milano, Bruno Mondadori, 2009, pp. 38-39)*
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