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È per la forza dello Spirito che talvolta ci è dato di sperimentare la bontà del mondo come creazione: come realtà che non è divina, ma nella quale, allo sguardo attento, Dio stesso si lascia intravedere – in una mirabile diafania, secondo l’espressione di Teilhard de Chardin. Là infatti – proprio in quella creazione che pure talvolta ci appare così opaca – Dio fa trasparire la sua gloria, il suo volto, soprattutto il suo amore. Certo, il Dio che si manifesta è sempre anche Colui che si nasconde e persino l’opacità del mondo nei confronti della rivelazione andrà letta nella sua positività, come rispetto per la libertà del destinatario. Ciò, tuttavia, non potrà impedirci di confessare che il nocciolo della rivelazione di Gesù Cristo è che il cuore della realtà è misericordia. Non è tanto l’uno o l’altro vivente preso nella sua singolarità, allora, a rivelare per noi l’azione di Dio, ma piuttosto la stessa relazionalità vivificante del mondo. È il creato nel suo insieme che ci appare come il grande sacramento, in cui il Dio Trino si rivela e si comunica – come passione per la vita – nella sua ricca diversità. Ce lo ricorda bene lreneo di Lione: «La gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la manifestazione di Dio» e, d’altra parte, già solo quella «manifestazione di Dio che avviene attraverso la creazione dà vita a tutti gli esseri». […]
Francesco ci orienta alla riscoperta di una spiritualità del limite, ben cosciente che solo Dio possiede le chiavi della sua creazione, che solo lui ne è il Signore. Che la nostra potenza e la nostra conoscenza sono sempre limitate e non possono da sole garantirci quella sicurezza vitale, che solo nella sintonia col creato e con gli altri possiamo trovare. Egli aveva ben compreso che l’humilitas è l’atteggiamento che davvero compete a un humanum, che – pur in tutta la sua potenza – resta sempre creato dalla terra, dall’humus, dalla «polvere del suolo», secondo il racconto di Genesi 2. Lo stesso racconto esprime del resto tale accentuazione già nel nome stesso del primo uomo: Adamo è colui che è tratto dall’adamah – è il terrestre, il terreno, il terroso – colui che è chiamato a coltivare e custodire la terra, per vivere gioiosamente di essa e su di essa. Nella creazione, insomma, non possiamo stare con l’arroganza di chi si crede padrone, che tutto sa e che tutto può: il nostro ruolo, ben più modesto, è quello di chi si riconosce servo, chiamato ad amministrarla responsabilmente. Al contrario, la superbia di chi solleva insolentemente la testa si coniuga troppo spesso con il tentativo geloso di accaparrarsi i beni che servono per sostenere la potenza, per garantire la sicurezza. La violenza e l’avidità sono i nomi che assume in quest’ambito quella realtà di peccato di cui la Scrittura rivela tutta la capacità mortifera. Meditare una sapienza della creazione, invece, significa scoprire una spiritualità della finitezza che sa riconoscere l’importanza delle cose, che sa apprezzarle nella loro bontà, ma che – proprio per questo – sa anche usarne con moderazione e condividerle con i fratelli.
(da S. Morandini, Terra splendida e minacciata. Per una spiritualità ecumenica della creazione, Milano, Ancora, 2004, pp. 26-27 e 32-33)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.