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Lessing, Solger, Schlegel, Hugo, Baudelaire stesso sono senza dubbio coloro che, nella modernità, avviano una riflessione che rende ormai impossibile connettere il concetto di espressività a quelli di “classico” e “bellezza”. Ma è Karl Rosenkranz, che a questi concetti è ancora legato, a spezzarne definitivamente la possibilità, aprendo una tradizione che, non solo in Germania, è ancora oggi viva e operante.
Dopo Rosenkranz, dunque, il brutto acquista davvero quella “cittadinanza estetica” di cui già si diceva e Rosenkranz stesso appare come il “battista” o il narratore di un fenomeno che, in definitiva, non ha sino in fondo compreso. Ma che, tuttavia, non prenderà altre strade, o che, almeno, delineerà alcuni suoi percorsi secondo le direttrici che Rosenkranz stesso ha indicato. L’impianto sistematico sembra inoltre non giovare alla “attualità” del suo lavoro, e il classicismo artistico appare “vecchio” anche se confrontato con alcuni pensatori del secolo precedente. D’altra parte, i timori che Rosenkranz esprime, il sospetto per i fantasmi di un romanticismo “malato”, od ormai compiaciuto dei suoi sintomi di malattia, così come il timore per un’arte che sia soltanto “rappresentazione”, fotografia mimetica di una realtà sociale degradata, quasi compiaciuta della propria stessa degradazione, non possono essere ritenuti soltanto il sintomo di una “vecchiaia” d’impostazione alla quale Rosenkranz non sa sottrarsi. Baudelaire stesso sospetta della fotografia, osservando che «l’amore dell’osceno, che è tanto vivo nel cuore naturale dell’uomo quanto l’amore di sé, non si lasciò sfuggire una così splendida occasione per saziarsi», temendo che la «riproducibilità», cioè un realismo solo riproduttivo, sconfini «nella sfera dell’impalpabile e dell’immaginario».
Sarà probabilmente più dal dualismo disperato di Baudelaire che dall’ansia dialettica di Rosenkranz che scaturiranno quei movimenti – che siamo abituati a riassumere con il nome di “avanguardia” – dove il timore per un’immaginazione deprivata dei suoi poteri creativi condurrà a un trionfo degli elementi eccedenti, deformanti, diabolici, grotteschi, “brutti”, esaltando di tale “trasgressione” il lato romantico, ed esasperandone le finalità. Le cosiddette “avanguardie storiche” svilupperanno senza dubbio più gli aspetti “dualistici” della bruttezza che quelli “comici” auspicati da Rosenkranz per un “ritorno al bello”. Tuttavia l’attivismo, l’antagonismo, l’antipassatismo, la modernolatria che sembrano caratterizzare l’elogio dell’informe che dominerà gran parte dell’arte contemporanea, nascondono anche motivi ben presenti nell’universo di Rosenkranz e che, forse, ne fanno meglio comprendere il disegno generale: non c’è infatti in loro soltanto elogio confuso delle forme ibride, che vivono nel dissidio il problema della riproducibilità del mimetismo come ansia che spinge al disordine e al caos, ma anche un’inarrestabile esigenza di totalità, che non pone il brutto “fine a se stesso”, ma lo inserisce in un quadro ontologico, in un movimento che ha in sé comunque una dialettica complessa, non così distante forse da quella “grande narrazione” che vede la bellezza al centro della dinamica storica e teorica dell’arte.
(da E. Franzini, Presentazione, in K. Rosenkranz, Estetica del brutto, Palermo, Aesthetica Edizioni, 2004, pp. 21-22)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
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