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Il Mille… Quanto inchiostro è stato sparso per dimostrare che nel Mille si aspettava con ansia la fine dei tempi, secondo i calcoli che Dionigi l’Aeropagita aveva fatto sulla base dell’Apocalisse (20, 7-10.12.15): «e quando saranno consumati i mille anni sarà sciolto Satana dal suo carcere e uscirà, e sedurrà le genti che sono ai quattro angoli della terra, Gog e Magog, e li radunerà a battaglia, e il loro numero è come la sabbia del mare, e si stenderanno per tutta la larghezza della terra, e circonderanno le fortificazioni dei santi e la città diletta, e scese il fuoco dal cielo, mandato da Dio, e li divorò, e il diavolo che li seduceva fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove la bestia e gli pseudoprofeti saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli (…) e furono aperti i libri, ed un altro libro fu aperto che è quello della vita, e furono giudicati i morti da ciò che era scritto nei libri (…). E chi non fu trovato iscritto nel libro della vita fu mandato nello stagno di fuoco». Quanto inchiostro è stato sparso, d’altro canto, per dimostrare che nessuno aspettava la fine. Che essa è «una tenace leggenda dei nostri tempi», del XIX secolo romantico o, più in generale, dell’età moderna: anche se una leggenda giustificata dalle testimonianze che abbiamo. E basata su un’invenzione storiografica dell’XI secolo, quella di Rodolfo il Glabro, cui andrebbe attribuita la creazione della categoria di «Anno Mille» (C. Frugoni). Ma è stato anche scritto che noi non possiamo apprezzare la profondità di quei terrori perché gli uomini di quel tempo non potevano manifestarli in nessun modo, obbligati com’erano a un comportamento virile e mascolino che imponeva il disprezzo o almeno il disconoscimento della paura. Che bisognerebbe muoversi in un quadro diverso, sinora sfuggito alla ricerca e alla ricostruzione storiografica, che «giace nascosto sotto uno strato di incomprensioni»: quello del lato rituale ed emozionale, quello della «semiotica esistenziale» (J. Fried). Insomma, è stato scritto tutto e il contrario di tutto. Non resta che guardare più da vicino. Provare a leggere direttamente, una per una, le fonti del (primo) millennio, della (prima) fine dei tempi: le testimonianze principali, quelle più conosciute. Apriamo il laboratorio dello storico, quello nel quale sono sminuzzate e (nel migliore dei casi) decifrate le notizie che vengono dal passato. Non ci sorprenderemo troppo se certe notizie o osservazioni si ripetono con una qualche monotonia, come se rimbalzassero da una fonte all’altra. Quanto erano diversi da noi gli uomini che hanno scritto mille anni fa? Innanzitutto registriamo il primo e fondamentale elemento di lontananza, una premessa indispensabile: il pieno medioevo non conosce ancora l’idea della fine improvvisa del mondo e del Giudizio improvviso; essi arriveranno soltanto dopo un lungo periodo di prove nelle quali senza ambiguità verranno riconosciuti il giusto e l’empio. È un altro aspetto della diversa capacità del controllo delle coscienze. Se la fine sarà improvvisa e subitanea bisognerà sempre aderire perfettamente alle regole di comportamento e alle credenze prescritte, e questa adesione potrà essere verificata in qualunque momento e, se necessario, sanzionata; la fine di tutto condizionerà la condotta di vita di tutti. Nel pieno medioevo, invece, il quadro è molto meno rigido, molto meno meccanico, molto distante da quello dei manuali per i confessori o per gli inquisitori tardomedievali, che hanno forgiato le idee dell’età moderna. Bisogna tener conto anche di un altro aspetto. Quando si calcolava che la fine sarebbe iniziata mille anni dopo Cristo non si sapeva se si dovesse computare a partire dall’Incarnazione o dalla Passione, e quindi c’era un arco di tempo possibile di trentatre anni. Un lungo periodo possibile di disastri e tribolazioni, di temporanei trionfi della Bestia, dell’Anticristo, alla fine del quale sarebbe rifulsa, abbagliante, la gloria di Dio e dei giusti. Già: ma quanto si sarebbe dovuto aspettare? Su quali elementi si sarebbe potuto capire che la fine dei tempi si stava avvicinando? E chi sarebbe stato nelle condizioni di capirlo? Di questo discutono le nostre fonti, cioè quelle nelle quali la tradizione storiografica ha riconosciuto o voluto riconoscere l’attesa del Millennio. Ma non tutte, e non sempre.
(da G.M. Cantarella, Una sera dell’anno Mille. Scene di medioevo, Milano, Garzanti, 2004, pp. 231-232)*
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