Dalla Premessa. Il vaso, la brocca o, più in genere, qualsiasi recipiente è, nella lingua greca antica, kéramos: nome certo riferibile all’oggetto di comune uso domestico, ma attribuibile anche, in forza di tradizioni popolari avvalorate da più fonti, a un dio. L’apparente contraddizione conferma l’ambivalenza del motivo religioso e l’attitudine del mondo pagano a contemperare temi sacri e realtà profane, valori assoluti e abitudini quotidiane. La lezione è grande e l’uomo contemporaneo è chiamato a non perderne il senso: il vaso, invero, non esaurisce la sua ragion d’essere nella funzione di raccolta di liquidi, ma costituisce oggetto in sé prezioso, degno della mensa degli dèi. Artigianato e arte, in quest’alba radiosa dell’Occidente, corrono di pari passo […]. Né si tratta di mero uso casalingo, perché il kéramos viene accuratamente collocato sulle tombe e parla, auspice un fruscio di vento tra le fronde, l’immortale linguaggio della pietà per i defunti. Così è per il Kerameikos […] luogo di sepoltura che prende il nome, per Pausania, dalla figura mitologica di Keramos, figlio di Dioniso e di Arianna. Così la memoria non si arrende alla ferrea legge del tempo e testimonia quell’imperituro legame tra le generazioni che Aldo Capitini definiva «compresenza» […]. La cura con cui l’uomo, raccogliendo le acque piovane, lenisce la propria e l’altrui sete è, di per sé, sacra: perché in quelle acque di provenienza alta sono già impressi, in qualche modo, il flusso delle sorgenti, lo scorrere dei fiumi, la vastità del mare. Sacro è il gesto che ne ripete il ritmo, all’atto del porgere la bevanda al commensale: istituendosi, tra il primo e il secondo, rapporto analogo a quello che intercorre tra opinioni dei mortali e disvelamento della verità, nel pensiero parmenideo, e tra esperienza giuridica ed eticità, nella concezione socratica della legge. Né si parla solo di acqua, ma anche del nobile liquore che ha per nume tutelare il padre di Kéramos: Dioniso, dio della vite e della sapiente trasformazione delle uve.