Tra gli scritti platonici il documento più consistente sulla questione delle idee di oggetti artificiali è rappresentato dalla discussione contenuta nella prima parte del libro X della
Repubblica. L’intera sezione prende avvio dall’esigenza di riconsiderare lo statuto della
mimesis e delle tecniche che essa presiede (ossia in particolare la poesia, che è per sua stessa natura mimetica). Socrate si interroga infatti su che cosa sia in generale l’imitazione (595c). La forma dell’interrogazione sembra richiedere una risposta che sia in grado di determinare la natura per così dire ontologica dell’oggetto in esame. E in effetti la strategia messa in campo da Socrate intende esattamente stabilire lo statuto ontologico dell’imitazione. A tal fine, Platone non può fare a meno di accennare ai fondamenti generali della sua ontologia, e dunque alla teoria delle idee, già chiamata in causa numerose volte nel corso dei libri centrali della
Repubblica. Dunque, il teorema delle idee viene introdotto come il
metodo consueto consistente nell’ipotizzare una singola idea per ogni gruppo di oggetti ai quali si applica il medesimo nome. Socrate accenna in questo modo a uno dei principi che conducono all’ammissione di entità separate, esistenti in se stesse e perfettamente trasparenti dal punto di vista epistemico. A questo punto entra in scena il celebre esempio del letto e del tavolo, ossia di un ente fabbricato artigianalmente. Platone intende stabilire la collocazione ontologica della mimesi artistica rispetto all’essere e alla verità e distingue per questo tre letti (corrispondenti a tre gradi di realtà): quello riprodotto mimeticamente dall’artista (guardando al letto particolare costruito dall’artigiano), quello sul quale dormiamo (fabbricato dal falegname avendo a modello l’idea del letto o meglio, come vedremo, la funzione che il letto deve assolvere), e, infine, quello vero e proprio, ossia il letto in sé, ciò che è veramente letto, l’idea del letto, la cui “generazione” viene attribuita a un misterioso demiurgo divino, chiamato anche
phytourgos (596b-597d). La tesi che Platone, per bocca di Socrate, intende sostenere è molto celebre e altrettanto contestata; si tratta della teoria dei gradi di realtà (e dunque di verità), in base alla quale l’attività mimetica e i suoi prodotti sono dislocati a una distanza doppia dall’essere, sostanziato naturalmente dall’idea, occupando dunque la terza posizione (597e; 602c). Il senso del ragionamento platonico è dunque abbastanza semplice: i prodotti dell’arte imitativa costituiscono un’imitazione di qualcosa (i fatti e i comportamenti degli uomini) che è a loro volta imitazione di un livello ontologico superiore; sono perciò imitazione di un’imitazione e per questo risultano sostanzialmente estranei alla dimensione veritativa. […]
Il fatto è che in tale contesto a Platone sembra importare davvero poco del problema dell’estensione del cosmo eidetico (se in esso ci sia o meno posto per le idee di
artefacta); ciò che importa è che il prodotto della mimesi artistica è distante dall’essere e che tale attività non ha accesso alla dimensione veritativa. Per dimostrarlo, è quasi inevitabile ricorrere al modello artigianale, il quale comporta l’introduzione dell’idea di un ente fabbricato. Un simile discorso né ammette né esclude l’esistenza di idee di
artefacta: non la ammette, perché non è questo l’obiettivo del ragionamento (e l’utilizzo di queste idee è solo funzionale a una precisa strategia teorica); non la esclude, perché in effetti proprio delle idee del letto e del tavolo si parla.
(da F. Ferrari, Il problema dell’esistenza di idee di artefacta, in Platone, La Repubblica, a cura di M. Vegetti, Napoli, Bibliopolis, 2007, pp. 151-171)*
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