La sfida di Minerva


Approfondendo le riflessioni esposte nel precedente L’altra Africa – Tra dono e mercato, nel quale evidenziava la dignità e il ruolo dell’economia informale nei confronti della razionalità tecnoeconomica, l’autore ha composto un elogio della phronesis (prudenza) – intesa come coscienza acuta della condizione tragica dell’uomo e come vigilanza rispetto ai limiti della sua situazione – e della retorica – arte denigrata nel nostro tempo e che va invece riabilitata nel suo significato di arte del ragionamento, oggi soffocata dal carattere costringente delle verità economiche. L’integralismo economico, che non lascia spazio ad alternative, oggi non consiste più nel produrre per consumare, ma nel produrre e consumare di più. In questo modo l’economia si è emancipata dalla morale per diventare scientifica, ma ha fatto diventare la ragione etnocentrica e imperialistica: l’utile si trova svuotato di ogni contenuto obiettivo e etico, acquistando valore solamente se è quantificabile ed omogeneo per l’universalità dei popoli. In economia diventa allora ragionevole introdurre altri elementi, non quantificabili, nelle decisioni, in quanto il mercato presuppone incontri con soggetti umani e coinvolgimenti emotivi. La “sfida di Minerva” è il tentativo di superare la prudenza classica, riallacciando i legami con l’astuzia (metis) presocratica e con la rivalità (agòn) omerica, per ispirarsi da un lato alla saggezza contenuta nelle lezioni dell’economia informale africana e dall’altro al pensiero cinese, che ricerca l’efficacia dell’azione basandosi sulle potenzialità dell’azione stessa; è il tentativo di opporre il ragionevole al razionale: un’opposizione che non è estranea al fragile confine che separa la democrazia dal totalitarismo. L’elaborazione di una ragione siffatta non è un sogno nostalgico, ma prevede l’avverarsi di una democrazia della misura, di una libertà che si accompagna con la dignità all’interno di una realtà non commisurata soltanto al metro economico. La scomparsa della metis dal pensiero occidentale è rivelatrice di una svolta che ha significato il trionfo del razionale, delle aspettative concrete, dell’effettivo, e la sconfitta della qualità fondamentale del grande uomo di Stato: non la ricerca del successo ad ogni costo, non la produzione di pura tecnica, ma l’attenzione al bene e all’equo, l’assunzione della totalità degli elementi costitutivi del sociale e dell’umano. Invece il senso comune della moderna società occidentale ha la tendenza a coincidere quasi esattamente con i risultati economici, ad aderire al pensiero unico della globalizzazione.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2000
Recensito da
Anno recensione 2001
Comune Torino
Pagine 184
Editore