Protagonista indiscusso della scena culturale tedesca della seconda metà del Novecento, Hans Blumenberg ha saputo tenere insieme rigore teoretico e consapevolezza dell’irriducibilità del gioco metaforico, tenace difesa dell’«autoaffermazione» dell’età moderna, con conseguente avversione ad ogni forma di secolarizzazione (famose le sue polemiche, su questo punto, con Schmitt e Löwith) ed una prodigiosa capacità ermeneutica della fabulazione mitica, dando sempre dimostrazione di straordinaria erudizione e abile padronanza dei testi della tradizione occidentale. Il libro curato da Andrea Borsari costituisce la prima raccolta di saggi critici pubblicata in Italia su Blumenberg e nasce dalla rielaborazione di interventi presentati presso il Centro Culturale della Fondazione Collegio San Carlo di Modena tra il 1993 e il 1994. Si tratta di saggi di affermati studiosi italiani che si confrontano con i vari livelli e stratificazioni di senso dell’opera blumenberghiana, lucidamente delineati nel saggio introduttivo di Bodei. Sono quattro i punti focali del libro, «mito» (con saggi di Desideri, Maj, Rigotti, Demaria), «metafora» (Cometa, Prato, Sequeri), «modernità» (Carchia, Cassinari, Russo) e «antropologia» (Accarino, Borsari). Uno degli esiti del «dilemma metodico» dell’interprete che si accosta a Blumenberg potrebbe essere quello di vedere nell’insistenza sull’inconcettuale e sulla metafora un appiattimento del discorso teorico sul registro letterario e mitologico. Per Blumenberg, la ragione umana risulta sempre carente rispetto alla minaccia opprimente della realtà e insufficiente a fronteggiare le sfide di un mondo refrattario ad ogni attribuzione unitaria di senso. La storia umana si presenta, così, come il campo di tensione fra due diverse linee di tendenza, fra l’«assolutismo» della realtà e le prestazioni della distanza, esoneranti e compensatorie: la metafora e il mito sono, infatti, le prime risposte funzionali alla mancanza di significato della realtà ed alla ricerca di orientamento dell’uomo nel mondo. In questo senso, si spiega anche la particolare rilevanza assegnata nel libro al livello antropologico della riflessione di Blumenberg, per il quale il principio di ragione «insufficiente», che dà conto della carenza costitutiva dell’essere umano, destituisce ogni filosofia della storia intesa come un accumulo di senso teleologicamente orientato: la stessa autoaffermazione della modernità non riesce a dar conto dello scarto fra «tempo della vita» e «tempo del mondo» e risulta, in ultima analisi, una conferma della finitudine costitutiva dell’uomo.