Con Arbeit und Ethik, del 1899, prende l’avvio la riflessione condotta da Max Scheler sul lavoro, riflessione che troverà esplicita espressione in altre due occasioni: nel 1920 con la conferenza Arbeit und Weltanschauung (Lavoro e “Weltanschauung”, Napoli, 1988), e nel 1926 con il lungo saggio Erkenntis und Arbeit (Conoscenza e lavoro, Milano, 1997). L’esame del sostantivo “lavoro” evidenziando come il termine sia utilizzato in tre diversi contesti, rivela l’unione che nella rappresentazione è data tra azione, cosa e fine. Tuttavia, è proprio del lavoro in quanto tale l’essere una sequenza aperta di azioni il cui scopo è la realizzazione di un momento parziale di un sistema di fini oggettivi generali. Ciò che diviene rilevante, nel considerare il lavoro come comunque dato all’interno di un sistema di fini, è la centralità che esso assume nel sistema stesso in quanto cerniera che consente la realizzazione di fini oggettivi attraverso momenti parziali e successivi. In tal senso, il lavoro non è in quanto tale valore, secondo quanto inteso dalle teorie socialiste, ma solo perchè dedicato alla realizzazione di uno scopo, al soddisfacimento di un bisogno reale, alla produzione di utilizzabili, esso crea valore. Tuttavia, poichè al lavoratore è concesso solamente una conoscenza parziale dello scopo della società, in esso Scheler riconosce il paradigma dell’antinomia che caratterizza la società stessa, il motivo fondamentale dell’etica contemporanea: “come è possibile che un uomo il quale (…) deve inserire la sua attività in un ruolo assegnato perentoriamente ed ha la tendenza a chiudersi in questo adattamento ripetitivo, sia contemporaneamente un uomo capace di poter condeterminare i più alti fini [Ziele] politici e giuridici?” (p.84). In altri termini, come è possibile che la responsabilità della società ricada, come pretendono sia le teorie socialiste che quelle liberali, sul lavoratore, ovvero su colui che ha solamente una conoscenza parziale del fine della società? La soluzione di Scheler è nel riconoscimento di fini morali del lavoro, di cui il lavoratore è responsabile. Ciò comporta uno spostamento del ruolo del lavoratore poichè egli può essere tale, ovvero moralmente responsabile del proprio lavoro e disposto a rifiutare ogni lavoro immorale, solamente se ha a disposizione tempo libero durante il quale possa riposare, distrarsi, ma soprattutto educare ed esercitare il proprio ruolo di cittadino, ovvero di elettore che incarica persone che ritiene competenti di riflettere e vigilare sugli scopi generali della società.