Facendo riferimento a un’ampia rassegna di testi letterari, filosofici e storiografici, Antonella Tarpino svela i quattro sentimenti – sepolcrale, sperimentale, differenziale e esotico – che hanno contraddistinto la pratica storiografica dell’ultimo secolo. La storia si costituisce nell’espressione di una distanza, quella che separa Ulisse dalla narrazione delle proprie gesta alla corte del re dei Feaci, quasi mai consapevole, ma che definisce sia il metodo che lo statuto dello storico e soprattutto il determinarsi della storia stessa come dimensione dell’esistenza. Una dimensione che ha assunto i tratti sepolcrali dello storico “vampiro”, la cui rappresentazione letteraria della fine del XIX secolo – H.Ibsen, G.Eliot, A.Gide – rivela la passione per un passato polveroso, distolto dalla vita e letale per chi lo avvicina. La storia è dunque solamente un sapere postumo che pretende di essere maestro di vita, ma che la vita stessa rinnega e la tragedia imprevista e immane della Prima Guerra Mondiale mette in discussione. Muta la percezione dello spazio e del tempo (S.Kern), del mondo circostante e della propria soggettività; deve mutare la storia, trasformandosi in scienza sperimentale. La Crisi del ‘29 introduce un ulteriore elemento di razionalizzazione della disciplina, rivelando l’importanza del dato quantitativo. Si tratta di un rinnovamento che investe sia la scelta che l’interpretazione delle fonti e che ridisegna i confini dell’oggetto della storiografia: esemplare lo “spostamento” operato da Braudel che tracciando la storia del Mediterraneo propone una riconsiderazione del sistema storico che porterà al concetto di spazio-mondo. Il passato non è più semplicemente morto, è Altro, i confini della storiografia si aprono alle scienze sociali e mostrano come l’Alterità non sia dislocata solamente nel tempo, ma anche nello spazio. E’ il sentimento della differenza che ora costituisce il modello dell’indagine. Tuttavia la scoperta dell’Altro non si compie nella comprensione del soggetto conoscente, ma rivendica una necessità che lo trasforma in un “forzato” della differenza, rendendo la storia una disciplina dell’esotico. Si tratta di una proliferazione dell’Alterità che caratterizza la “surmodernità” (M.Augé), che depriva lo spazio della sua natura di luogo e che nel parossismo della differenziazione dimentica la morte. E’ la morte la vera Alterità, il confronto con la quale non è solamente sottaciuto (Z.Bauman), ma – sottolinea Tarpino riprendendo un suggestivo etimo della differenza proposta da Derrida – comunque differito.