Il libro affronta il tema dell’invenzione della tradizione dello Stato unitario da parte delle gerarchie e racconta in che modo si costituì in Italia una “religione della patria”. Nel periodo considerato dall’autrice, docente di Storia del Risorgimento all’Università di Bologna, – i primi cinquant’anni dell’unità – l’anniversario della costituzione dello stato viene celebrato conservando rigidi steccati in cui gli esclusi sono la maggioranza: la festa non è ancora un momento di divertimento e di svago, ma un’occasione nella quale si celebra l’unità del gruppo comunitario. Le donne, almeno fino alla guerra di Libia, sono tra le escluse; sono figure “profane” che nel momento centrale della parata militare lasciano lo spazio ai mariti e ai figli. E’ infatti l’uomo ad avere il compito di attore nella sfera pubblica e di custode della memoria storica, mentre alla donna spetta una semplice funzione di supporto. La centralità della festa risiede nella parata militare, intesa come espressione del nesso tra identità e genere, identità nazionale e identità civica. Essere uomini significava inoltre essere soldati: in questa direzione andò anche l’istituzione della festa scolastica (all’interno della festa dello Statuto) che fu un modo per ribadire la necessità di disciplinare i giovani, che dovevano imparare i doveri dell’obbedienza. Non è possibile parlare della festa del potere senza fare cenno alle celebrazioni cattoliche che costituirono fonte di aspri contrasti. I rituali religiosi erano un’eredità dell’antico regime nel quale avveniva l’incontro tra la società politica e la società cristiana. Le nuove bandiere di casa Savoia, che avevano al centro la croce, volevano rinviare all’idea della crociata e riassumevano la sacralità della dinastia, la sua adesione alla cristianità. Se durante la guerra d’indipendenza il clero aveva permesso di stabilire agli occhi del popolo il nesso tra la patria terrena e quella celeste, dopo il 1860 – afferma Ilaria Porciani – si vennero a creare tensioni per stabilire lo spazio del sacro nella nuova identità politica. L’alto clero esercitò una forte pressione finalizzata a non riconoscere la solennità della festa, mentre il basso clero e molti sindaci, sensibili alle ragioni patriottiche, vollero mantenere un legame con la religione della maggioranza del popolo. La soluzione fu un compromesso: la celebrazione della messa al campo, alla quale parteciparono gli esponenti del mondo militare. In questo modo si smussarono tensioni. Quella che poteva sembrare una sconfitta si rivelò per il clero un’esaltazione della sacralità dell’evento.