Società senza lavoro


Nel libro si ripercorrono le tappe attraverso le quali è passata la definizione del concetto di lavoro. Un cammino segnato sia dall’evoluzione linguistica (ergon, labor, opus, travail) che dalla teoria filosofica, la quale ha sempre accompagnato -da Platone a Agostino, da Cartesio a Hegel – i passaggi di questa manifestazione dell’attività umana. In modo particolare si sono confrontate due grandi tradizioni: da un lato quella che considera la società come una semplice aggregazione di individui, dall’altro quella che la vede come una comunità in cui il tutto prevale sulle parti. Oggi, sottolinea Méda, non possediamo una teoria politica all’altezza di quelle del passato e in ciò risiederebbe la principale difficoltà nel comprendere la natura del legame sociale e la funzione del lavoro. Nel nostro secolo Heidegger è stato uno tra i pochi a sviluppare un pensiero coerente sul lavoro, anche se ne ha fatto un oggetto indiretto di riflessione. Pur essendo al centro del dibattito sociale il lavoro non ha ancora ottenuto una sistemazione precisa: rimane infatti ora un fattore di produzione, ora l’emblema della libertà creatrice, ora il possibile mezzo della distribuzione delle ricchezze. Resta anche non risolta l’ambiguità che lo vede confuso con il termine impiego. Il lavoro è ancora un fattore della produzione subordinato allo sviluppo tecnico e non ha potuto sviluppare una piena funzione macrosociale (vale a dire permettere il legame sociale), perché è tanto profondamente inserito in un insieme di sistemi che la sua efficacia non può essere distinta da essi. Per definire il lavoro occorre prima di tutto determinare il tipo di società in cui vivere – o una società guidata dall’esterno (la globalizzazione), oppure una società in cui la capacità di decidere risiede al proprio interno – e in secondo luogo serve un approccio multidisciplinare, poiché il lavoro è un “fatto sociale totale”. Méda ricorda che la vita sociale viene immaginata soltanto sotto la forma dello scambio e che i sistemi economici non si occupano della ripartizione della ricchezza, ma continuano a riprodurre l’ordine sociale con i mezzi di sempre. La direzione intrapresa dalla società appare sempre più simile a quella di un’impresa, con un’identica deriva tecnocratica. Occorre allora, si legge nelle conclusioni del volume, “disincantare” il lavoro, cioè prendere atto che l’utopia legata alla società del lavoro ha esaurito la sua forza di persuasione, che la vita è anche azione e non soltanto produzione. (Dominique Méda insegna Filosofia all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi).

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 1997
Recensito da
Anno recensione 1997
Comune Milano
Pagine 238
Editore