E’ una vera e propria disputa filosofica quella qui intrattenuta da tre dei maggiori esponenti della più recente filosofia analitica, una disputa che ruota intorno a nozioni centrali come convenzione, significato e interpretazione. In questo agile volumetto (cfr. anche l’introd. A Davidson di L, Perissinotto), l’autore di Verità e interpretazione lancia una sfida ai suoi interlocutori: nel saggio Una graziosa confusione di epitaffi arriva a demolire la nozione tradizionale di “linguaggio”, almeno nel senso in cui essa è stata descritta come “struttura condivisa chiaramente definita” e regolata da precise convenzioni formali. Attraverso l’analisi della nozione di “malapropismo” (la situazione in cui usiamo vocaboli simili nel suono alle parole che avrebbero espresso correttamente ciò che intendiamo) distingue il significato letterale delle parole dalle reali intenzioni del parlante, mettendo in evidenza come non sempre questi due aspetti coincidano. Questo implica, da parte dell’interpretante, un certo grado di abilità nel cogliere le “implicature conversazionali” che stanno dietro al discorso. La comprensione di ciò che viene proferito può allora avvenire solo alla condizione che interprete e parlante aggiustino le proprie teorie conversazionali in modo uniforme. Per Davidson, solamente in questi termini si può parlare di convenzione linguistica: non nel senso di elaborazione di una teoria sistematica della comunicazione, ma, più semplicemente, cercando di fare fronte in ogni singola circostanza all’interpretazione di particolari proferimenti attraverso una convergente teoria transitoria. Nella seconda parte del volume sia Hachking che Dummett mettono in discussione le conclusioni ‘estreme’ di Davidson sulla natura del linguaggio; il primo in La parodia della conversazione fa notare come l’intera filosofia di Davidson sia messa in crisi dalle sue stesse conclusioni, essendo paradossale che vi possa essere comunicazione senza linguaggio, e riduce la teoria davidsoniana a solipsismo o tuttalpiù “duettismo” (Davidson intenderebbe cioè la pratica linguistica a partire dal dialogo tra due persone e non dalla comunità). L’intervento di Dummett ha invece il pregio di fare luce sul compito delle teorie conversazionali: con la distinzione di teoria a breve e a lungo raggio, approfondisce il tema dell’ “implicatura conversazionale”, senza tuttavia giustificare la pretesa di rinunciare del tutto alla nozione di linguaggio (cfr. anche La verità e altri enigmi, il Saggiatore, 1986 e Alle origini della filosofia analitica, Il Mulino, 1990)..