Voglia di comunità


Nel mondo contemporaneo spesso domina la “voglia di comunità” perché essa incarna il tipo di mondo che non possiamo avere ma nel quale desidereremmo vivere. A partire da questa constatazione Bauman descrive l’attuale “disagio della modernità” e la condizione di una società segnata dalla trasformazione dei punti di orientamento che in passato indicavano un ambiente sociale stabile: non esiste certezza che la reciproca condotta abbia un significato più che episodico, che il modo in cui oggi ci comportiamo sarà domani causa di sollievo o di sofferenza. Questi assiomi formavano le fondamenta epistemologiche dell’esperienza di una comunità coesa, ed è questa esperienza che viene a mancare nella società “liquida”, dominata da un atteggiamento distaccato, dalla fuga dai sentimenti, dal caos dell’intimità vera e dal rifugiarsi nel mondo delle relazioni occasionali e brevi. L’unico desiderio dell’uomo “globale” è l’assenza di obblighi, di impegni duraturi, di amicizie profonde: non a caso, lo spazio in cui la nuova élite economica e intellettuale vive il proprio tempo è un’area priva di comunità. Si afferma così la comunità estetica, una comunità flessibile e facile da smantellare, come avviene nell’industria dello spettacolo che quotidianamente promette una comunità fondata sulla non appartenenza, un’aggregazione di anime solitarie: il combattere da soli è ciò che fa dei protagonisti del mondo dello spettacolo una comunità. La co-munità estetica evita dunque di tessere fra i propri membri una rete di responsabilità etiche e di impegni a lungo termine. La modernità “liquida” ha abbandonato il modello di giustizia sociale quale orizzonte ultimo del processo politico a favore della difesa dei diritti umani. La lotta per la conquista dei diritti umani si estrinseca però in un’intensa opera di costruzione di una comunità, nell’impedire agli intrusi di entrare e ai residenti di uscire. La nuova nozione di comunità significa identicità, esclusione dell’altro, di un altro che si ostina a essere diverso: infatti, proprio mentre si parla di globalizzazione, è in atto una strategia di confinamento e di immobilizzazione degli “indesiderabili”. Il secolare sogno della purezza – che aveva prodotto la visione di una società perfetta – ha ora quale obiettivo principale una comunità sicura, che assume l’aspetto del ghetto volontario. L’insicurezza tende a trasformare il multiculturalismo in multicomunitarismo: cultura diventa allora sinonimo di fortezza assediata, senza la possibilità che vi sia un’apertura reciproca.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2001
Recensito da
Anno recensione 2002
Comune Roma-Bari
Pagine IX + 145
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