Proprio nel momento in cui Kant poneva l’esperienza a fondamento della scienza, e avviava il progetto di una filosofia costituita sul modello scientifico, la scienza ha preso una via che l’ha vieppiù allontanata dall’esperienza sino a rendere l’identificazione dell’una nell’altra pressoché impossibile: quale relazione può sussistere tra gli oggetti che maneggiamo nella quotidianità e le particelle subato-miche che li costituiscono? (Per non parlare di spazi curvi, quanti di energia, dualismi onda-corpuscolo, ecc.). La domanda è tutt’altro che ingenua poiché comporta quantomeno una decisione sul significato di un’altra domanda: «cos’è la cosa in sé?». Se nella scienza era stata riposta una qualche forma di fiducia che essa potesse rispondervi, tale fiducia deve ormai ritenersi mal riposta. È questa una considerazione di diritto: il compito della scienza risulta infatti inestinguibile e una conoscenza scientifica del mondo non risulta solamente indefinitamente lontana, ma – data per definizione l’emendabilità di ogni conoscenza scientifica – inesauribile. Ciò non toglie che la vita quotidiana proceda indifferente al fatto che gli individui siano consapevoli o meno di muoversi in una nube di atomi. Che il tavolo continui a sostenere gli oggetti che vi appoggiamo è un esempio di quell’esperienza inemendabile che incontriamo nel mondo e che ci deve indurre a una profonda revisione dell’inflazione di schemi concettuali a cui pretendiamo di ricondurla. «La realtà ha la proprietà di esistere prima di noi e dopo di noi, e comunque in modo coerente e indipendente dalla nostra coscienza», afferma Ferraris. Quindi lo statuto dell’ontologia risiede ben al di là di ogni definizione trascendentale del reale, ma altresì al di là di una sua definizione ecologica. Non si tratta dunque di un problema di scala dell’esperienza: la legittimità dell’ontologia non dipende dall’ordine di grandezza che scegliamo per indagare il mondo che ci circonda, ma dalla «scoperta» che il mondo è tale indipendentemente dagli schemi concettuali che utilizziamo per conoscerlo o abitarlo. Il primo passo risiede dunque in questo riconoscimento, e nella definizione degli oggetti che «incontriamo» e che risultano inemendabili. Sono gli oggetti della percezione, ma non solo: il catalogo che Ferraris propone in conclusione dell’opera comprende anche «inemendabili non percettivi», quali proposizioni logiche e grammaticali, nomi propri, istituzioni, unità di misura, opere letterarie, regole dei giochi, concetti veri e completi. Questo è il mondo esterno: da qui, sostiene Ferraris, è bene incominciare.