Il recente interesse in Italia per il pensiero del Lutero della maturità a livello di studi e traduzioni ci consente di avere finalmente a disposizione in una pregevole versione italiana, con un apparato di note che testimonia l’acribia storico-filologica e gli interessi teologici del curatore Giuseppe Ferrari, lo scritto tedesco che Lutero ritenne la summa del suo pensiero ecclesiologico. Siamo di fronte tuttavia ad uno scritto d’occasione, ricco di sarcasmo e denso di riferimenti polemici al papato e alla chiesa romana, redatto da Lutero nell’attesa che si concretizzasse la convocazione del Concilio, più volte annunciata da Paolo III e più volte rinviata. Lutero, a distanza di due decenni dalla consumazione della rottura con il papato e dall’equiparazione tra il pontefice e l’Anticristo, ribadisce il suo scetticismo nei confronti della capacità che un concilio che si svolga sotto il controllo papale possa procedere ad una vera restaurazione del Vangelo nella sua purezza e ad una vera riforma della chiesa. Il Riformatore, ormai da lungo tempo “teologicamente” persuaso della fallibilità delle decisioni dei padri conciliari, e non solo di quelle pontificie e del diritto canonico, anche in riferimento al passato – si pensi alla condanna di Jan Hus a Costanza – non rinuncia tuttavia ad una ricognizione della storia dei concili dei primi secoli, da Gerusalemme a Nicea sino ad Efeso e Calcedonia. Mentre le decisioni disciplinari e ecclesiali assunte dai Padri nei secoli hanno ormai perduto gran parte del proprio valore a causa del mutato contesto storico, i dogmi cristologico e trinitario, elaborati da una chiesa ancora immune dalla tirannia romana, conservano inalterato il loro valore: la loro funzione va rinvenuta tuttavia nel contrastare le eresie (arianesimo, monofisismo e nestorianesimo) esplicitando verità cristologiche e trinitarie già perspicuamente insegnate nella Scrittura da Paolo e Giovanni. Si tratta indubbiamente di un testo tutt’altro che irenico dal punto di vista ecumenico, che testimonia la determinazione di Lutero, nella sua maturità, nel contrastare il primato del vescovo di Roma e le pretese romane, in nome di un primato della “comunità” concreta in cui si predica il Vangelo e si amministrano efficacemente i sacramenti. Proprio per questo il lettore di oggi, evangelico ma soprattutto cattolico, proteso alla ricerca di una forma di esercizio del ministero petrino accettabile da parte di tutte le confessioni e ormai libero da una concezione esclusivamente gerarchica della chiesa – termine non amato da Lutero – è chiamato ad una lettura attenta di un testo che ribadisce l’esclusiva funzione normativa del principio del sola Scriptura nella configurazione della chiesa di Gesù Cristo.