Il Dio possibile


“E voi chi dite che io sia?” (Mt 16, 15). Questa è, ad avviso di Vitiello, la domanda a partire da cui si può tentare di mostrare la dinamica relazionale del “Tu” che si instaura tra Dio e uomo, entrando nel contempo a costituire l’essenza di quest’ultimo. A porre l’interrogativo è infatti innanzitutto il “Figlio divino, la Verità del Padre” che si offre all’uomo. Ma Egli è anche il Figlio che, fattosi carne, dall’alto della croce, griderà: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15, 34), manifestando così anche la propria distanza infinita dal Padre. Dunque “la domanda di Gesù porta alla parola, l’approssimarsi di Dio all’uomo e insieme l’infinita distanza dell’uomo da Dio”. Questa è la contraddizione in cui consiste il sigillo della finitezza umana. Eppure, nota Vitiello, è altrettanto vero che il finito è tale unicamente per il fatto che l’“Altro che lo finitizza”. Come può però il pensiero umano esprimere questa relazione paradossale senza incorrere nel pericolo di fare di Dio il mero e statico “totalmente altro” di barthiana memoria? In che senso invece la “logica del tu” proposta da Vitiello riesce a fare luce sull’intima dinamica con cui “la trascendenza oltrepassi se stessa per farsi immanente”, senza con ciò pretendere con superbia di esaurire il mistero di Dio, senza cioè “ricondurlo nell’ambito del proprio orizzonte”? Con questi interrogativi, sottolinea Vitiello, è in gioco “l’intera Logica dell’Occidente”. Consapevolmente dunque, mediante un serrato dialogo con Platone, Plotino, Agostino e Heidegger (ma la ricerca coinvolge anche pensatori contemporanei quali Cacciari, Pareyson, Zambrano e Severino), l’autore afferma di dover e voler procedere oltre la logica di Aristotele. La questione, riguardando al tempo stesso Dio, l’uomo e la possibilità del pensiero, assume così una connotazione onto-metodologica, in cui “pensare trinitariamente” significa “pensare altrimenti”. Essendo impossibile pensare l’Infinito, il compito che ormai si mostra imprescindibile di pensare intorno all’Infinito esige che si faccia uso di una “copula” che non alteri Dio nel mentre che lo dice. In tal senso la copula “è” fallisce nel tentare di riferirsi a quanto “non ha struttura, natura, essere; non può riferirsi alla possibilità possibile anzitutto in rapporto a se medesima”. Di qui l’esigenza di ricorrere alla nuova copula dell’“è-possibile”, per tentare di raccontare (non di dimostrare) la dinamica kenotica intra-trinitaria del Dio-possibile, alla luce della quale si può forse leggere, nell’appello proveniente dalla Parola-finita di Verità, un annuncio di salvezza che, riuscendo a “servare, serbare, custodire” (p. 110) il finito, è altra dalla redenzione.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2002
Recensito da
Anno recensione 2003
Comune Roma
Pagine 222
Editore