Il tentativo compiuto dall’autore è interamente volto ad un riscatto e ad una rivalutazione del complesso e singolare concetto di “classico”, chiamato a fare i conti con un’Europa che progressivamente sta perdendo la propria memoria storica e che sempre più identifica la propria tradizione solo con la modernità. L’orizzonte culturale di indagine in cui viene contestualizzato il concetto è quello della globalizzazione, in cui urge una risposta alla progressiva perdita della propria identità («per omologazione e assorbimento in una qualche “globalità”» – p. 5) e allo sclerotizzarsi delle rivendicazioni locali (come potenti fattori di individualizzazione e separatezza). Il concetto di classico si pone allora come problematico “ponte” tra una tradizione passata che ci costituisce e un futuro culturale da costruire. In quest’epoca di continua e reciproca contaminazione risulta necessario capire se ancora valga la concezione secondo la quale la tradizione greco-romana sia più “nostra” del passato culturale cinese o musulmano: elementi o frammenti della tradizione classica occidentale emergono infatti inaspettatamente nel cuore di grandi culture extraeuropee. In primo luogo, viene da muovere la critica contro l’abuso del citazionismo, che “scomponendo” la cultura classica in frammenti decontestualizzati la espone ai più arbitrari montaggi. Ma, si chiede provocatoriamente Settis, è davvero così anche in questo caso? Un radicale ripensamento della natura e della funzione del “classico” di «marca occidentale» è di immediata e ineluttabile attualità: si tratta di individuarne «le peculiarità distintive (se ve ne sono) che sono rimaste in vita e che hanno ancora qualche significato, anche entro un contesto marcatamente multiculturale come il nostro» (p. 8). In un serrato e continuo confronto tra Antichi e Moderni, Settis ripercorre la genealogia del “classico” (in modo peculiare per ciò che concerne la storia dell’arte), mettendo in evidenza l’importante messaggio secondo il quale è indispensabile un altrove nel tempo (l’antichità greco-romana) e nello spazio (le società extraeuropee): nessuna civiltà può infatti pensare se stessa se non dispone di altre civiltà che servano da modello di comparazione. Quanto più l’occhio e la mente saranno educati a guardare al “classico” non come asettica e morta eredità delle tradizioni passate, o come “proprietà privata” di un nebbioso ed indistinto retroterra di determinate società, ma come comune humus culturale contenente tutte le nostre molteplici radici, tanto più verrà stimolata la sensibilità per intendere il “diverso” come inesauribile fonte di ricchezza culturale per il nostro domani.