La riflessione centrale dell’autrice viene dedicata alla questione del soggetto, dal punto di vista della teoria delle passioni e della “differenza emotiva”. Nel volume emerge in ogni caso una triplice dicotomia, le cui radici si trovano in Rousseau: sfera pubblica/sfera privata, ragione/passione, maschile/femminile. Queste dicotomie, tipicamente moderne, rappresentano la scissione tra il bisogno irrinunciabile di affettività da un lato e l’esigenza di pura razionalità dall’altro. Proprio l’esclusione della corporeità, delle passioni, di tutto ciò che è più propriamente “femminile” dalla vita pubblica ha determinato la limitazione della donna al ruolo privato di moglie e di madre, cioè all’area del sentimento e della reciprocità (ma non a quella del pathos). La donna diventa così depositaria di un potere di amore e di relazione che è una maschera della disuguaglianza: nel momento stesso in cui la donna acquista un potere di relazione (con il suo ruolo di moglie e madre) vede mutilata la propria identità. Da questa ambiguità è possibile uscire con la conquista di un nuovo spazio pubblico e soprattutto con il recupero, dentro la sfera stessa del sentimento e della relazione, di quegli aspetti perduti o rimossi che permettano di ritrovare la potenza originaria del femminile, che è appunto la capacità di connettere e di unire senza rinunciare al proprio io, conservando una percezione di sé come soggetto in relazione. La figura di un soggetto relazionale è espressa soprattutto dalla “passione per l’altro”, che consente di ripensare le idee di legame, dono e desiderio, tenendo insieme autonomia e riconoscimento della dipendenza. La tendenza alla relazione prevede naturalmente anche il momento della separazione, ma per il femminile esso non vuol dire taglio o cesura: infatti, la relazione diventa il risultato di un processo di differenziazione e di individuazione proprio nel momento in cui la cura non costituisce un’altruistica devozione all’altro, ma una vera passione per l’altro. In questo senso è possibile parlare di “soggetto contaminato”, non riconducibile né al soggetto moderno (autoaffermativo e strumentale), né a quello del femminismo postmoderno (in via di autodissoluzione). L’autrice propone allora di parlare, contemporaneamente, di memoria del corpo e di passione per l’altro: memoria del corpo vuol dire memoria della concretezza, della singolarità dell’individuo e della sua specifica narrazione di sé in cui la passione per l’altro permette di dare priorità alla relazione senza negare il momento fecondo dell’affermazione della propria differenza.