Le tesi di Ignatieff sui «diritti umani come politica e come idolatria» si possono riassumere in quattro argomenti principali. In primo luogo, è evidente che la dottrina dei diritti dell’uomo non è in grado di fondarsi e giustificarsi in termini etico-filosofici: la sua validità può essere affermata solo in termini storico-politici e pragmatici. In secondo luogo, è necessario considerare che i diritti umani sono espressione della “libertà negativa” e che il loro presupposto è l’individualismo politico (con il connesso primato dei diritti individuali sui “diritti collettivi”). In terzo luogo, una volta liberata da ogni enfasi metafisica e identificata con la tutela della “libertà negativa”, la dottrina dei diritti umani mostra tutta la sua “universalità umanitaria”: essa dunque vale al di là dell’ambito culturale dell’Occidente, rivelandosi perfettamente compatibile con il “pluralismo morale” del mondo moderno. Infine, è necessario notare che il particolarismo degli Stati e il principio di inviolabilità delle frontiere si oppone all’universalità dei diritti dell’uomo: tuttavia, la sovranità degli Stati, per quanto irrinunciabile in linea di principio, non può impedire che, in casi particolari, la forza delle armi venga usata per imporre il rispetto di tali diritti. Nell’edizione italiana del volume, le tesi di Ignatieff vengono commentate da due autorevoli pensatori italiani. Salvatore Veca mira a giustificare una tesi plausibile dei diritti umani a partire dal riconoscimento della priorità del male, sottolineando l’impossibilità di considerare la globalizzazione economica come portatrice di una globalizzazione morale. Perciò, i diritti umani non possono assumere i tratti di un credo universale, ma piuttosto devono essere intesi come la possibilità di espressione di una lingua comune, di un “vocabolario minimo”, condivisibile da tutti, a partire dal quale possano trovare spazio idee diverse di sviluppo umano. L’intervento di Danilo Zolo mostra come anche l’universalismo minimalista di Ignatieff, come ogni universalismo, tenda verso l’intolleranza, l’aggressività, la negazione della diversità e della complessità del mondo. L’operazione di “secolarizzazione” pragmatica della dottrina dei diritti dell’uomo finisce contraddittoriamente in una giustificazione dell’uso ideologico ed egemonico della forza da parte delle potenze occidentali, in linea con il “fondamentalismo umanitario”. L’argomentazione di Ignatieff, dunque, mostra la propria aporeticità nel momento in cui tenta il passaggio dal riconoscimento della determinazione storico-politica della concezione dei diritti umani, nell’alveo dell’individualismo occidentale, alla loro concreta universalizzazione.