Nelle considerazioni iniziali Hillman denuncia l’attuale mancanza di ampie analisi del fenomeno bellico, che viene studiato solo in modo parcellizzato da singoli specialisti: per comprendere appieno la guerra bisogna invece risalire ai miti che ne sono all’origine, riconoscere che essa è appunto un accadimento mitico e costituisce una presenza costante e fondamentale nella vita umana e nella percezione del mondo. Comprendere la guerra significa comprendere la natura dell’amore di guerra, questo amore che è diverso da ogni altro perché diventa sacrificio di sé. La parola «guerra» viene oggi usata per connotare eventi “normali” e quotidiani: si parla di guerre commerciali, guerra tra i sessi, guerra dell’informazione e così via, sancendo da un lato la sua ubiquità e dall’altro la sua accettabilità, soprattutto attraverso l’elaborazione di modelli interpretativi secolari (che non riescono però a cogliere la forza di attrazione della guerra, il culto e il terribile amore che suscita in noi). In questo modo si creano gli elementi di una scienza razionale della guerra, che permettono però una comprensione solo parziale di questo fenomeno, a partire dalla quale occorre fare un salto nell’immaginazione e dentro il mito, così come nella filosofia e nella teologia. L’autore sottolinea il fascino esercitato dalla guerra a partire dal connubio tra Marte e Afrodite e confermato dall’estetica militare, con l’utilizzo di divise ornamentali e l’esibizione di armi lucenti. La guerra rimane comunque una realtà che non possiamo comprendere fino in fondo, la cui natura mitica allo stesso tempo è attraente e repellente: infatti, la guerra introduce anche l’esperienza del sublime che si cela all’interno del caos assoluto ed è rivelazione di una forza universale in grado di suscitare obbedienza e sgomento. All’interno di questo processo si comprende il fascino per la guerra, che è strettamente collegato alla dimensione religiosa. L’atto di credere sollecita l’azione, anche quella violenta, con tanta maggiore forza, quanto più forte è la fede: combattere chi crede in un Dio diverso è poi una necessità della fede, perché la sua esistenza getta un dubbio sostanziale nelle fondamenta della fede nel proprio dio. Solo nell’età dei lumi, conclude Hillman, assistiamo a una “tregua” nella fascinazione bellica: quel periodo – 1670/1780 – evidenzia un disgusto per il massacro e l’acquisizione nella sensibilità collettiva delle idee di moderazione e di misura, stimolate dall’amore per la verità metaforica e l’intelligenza arguta. Oggi, invece, nessuna delle potenze dominanti – religione, economia, scienza – intende utilizzare in modo duraturo le conquiste dell’illuminismo.