Tra due linguaggi

Arti figurative e critica


Fino a che punto può spingersi la scrittura nel tentativo di restituirci l’aspetto visibile di un’opera d’arte? Attraverso quali mezzi approssimarsi a dire il visivo, quando questo sembra sottrarsi alla parola, come nel caso di Chardin, che sembrava esprimere in pittura il silenzio? Il saggio tenta di offrire una risposta a questi interrogativi attraverso un ricco campionario di descrizioni verbali, strumenti stilistici e strategie retoriche che costituiscono il proprio della prosa d’arte. Ad una prima sezione centrata sul Settecento si accompagna uno studio su un’opera giovanile e poco conosciuta di Emilio Cecchi e uno su Officina ferrarese di Roberto Longhi, nel tentativo di mostrare dal di dentro il laboratorio dei critici di professione quanto quello dei non attitrés. Raggirare l’impossibile traduzione del visibile nel dicibile, così come tentare di narrativizzare il quadro, concatenando diversi piani temporali, sono due problemi cruciali con cui la storia dell’arte, in quanto disciplina, si è da sempre confrontata, al di là delle questioni d’attribuzione e di cronologia. In questo senso nessun medium si è dimostrato più proficuo della pittura. La tradizione dell’ékphrasis pittorica si distingue per il “rigonfiamento avverbiale” e l’aggettivazione, per i preziosismi e le torsioni linguistiche, per l’uso imponente dell’elencazione, dell’accumulazione nonché dell’analogismo, “assetato di realtà”. L’uso sapiente della punteggiatura e la ricorrenza delle frasi nominali permettono alla scrittura di mimare i movimenti rapsodici dell’occhio durante l’atto di visione e di enfatizzarne gli choc emotivi “come per continue agnizioni”. La descrizione verbale, infatti, “non mima l’opera, ma lo sguardo che percorre l’opera”. Un’attrezzatura specifica, ricorda Mengaldo, alla critica d’arte moderna, a partire all’incirca dalla “geniale, quasi spudorata libertà” di Diderot, davanti ad esempio alla scrittura asciutta e ritenuta di Alberti o di Vasari. Tuttavia, se la prosa d’arte, come nel caso di Cecchi all’intersezione con la critica letteraria, può ricoprirsi di note di colore “a livello fonico, sintattico e semantico”, non bisogna dimenticare i rischi che si corrono nel colmare lo scarto con il visivo. L’oggetto in analisi può trasformarsi in un semplice brano pittorico o più in generale in un documento visivo, in quanto tale già predisposto ad essere convertito in scrittura. Leggendo le penetranti analisi di Mengaldo sulle procedure verbali che addomesticano il visivo, non andranno dunque dimenticati gli spinosi problemi di metodo, suscitati da quella che Longhi stesso chiamava la “risposta parlata alle opere d’arte”.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2005
Recensito da
Anno recensione 2006
Comune Torino
Pagine 124
Editore