Lo scopo del libro, afferma Bloom, è di suggerire che Gesù e Yahvé sono personaggi totalmente incompatibili, che presentano caratteristiche sostanzialmente diverse. Se Gesù è incredibilmente lontano da Yahvé, ciò è dovuto al fatto che le formulazioni teologiche greche e le memorie esperienziali ebraiche sono semplicemente antitetiche: agli ebrei viene chiesto di confidare – non di credere – nell’Alleanza stabilita tra Yahvé, i profeti e i patriarchi, mentre i cristiani credono che Gesù è il Messia. Facendo costanti incursioni nel mondo letterario e teatrale l’autore sottolinea che il cristianesimo ha sostituito il minaccioso Yahvé con una figura profondamente diversa, quella di un Dio padre il cui figlio è Cristo. Il cristianesimo degli anni a venire sarà dominato da Gesù e dallo Spirito Santo più che dalla figura del padre. Yavhé è per Bloom l’unica personalità letteraria che supera in vivezza persino Amleto, Falstaff e re Lear: Egli è la rappresentazione più convincente dell’alterità trascendente. Ciò nonostante Yahvé non è solo antropomorfico, ma è assolutamente umano e non è affatto amabile. Non è un dio teologico, anzi disdegna la teologia, mentre è incline alla teofania. Pur essendo illimitato Yahvé accetta una serie di temporanee restrizioni della propria natura infinita al fine di mostrarsi. Poiché non esiste una sola Bibbia cristiana, ma diverse, il motivo unificante del Nuovo Testamento è la sua posizione revisionista nei confronti della Bibbia ebraica. Da questo revisionismo deriva la potenza persuasiva dei Vangeli, che dimostra la forza di un’impresa creativa, piena di incoerenze, ma in grado di sopravvivere alle proprie contraddizioni, tra cui quella di un Gesù la cui missione è indirizzata ai soli ebrei. Non è possibile afferrare la personalità di Gesù senza aver prima compreso, in qualche misura, le qualità individuali di Yahvé, che sono aldilà della nostra possibilità di comprensione. Nel Nuovo Testamento non viene mai citato alcun episodio in cui il Nazareno parli direttamente con Yahvé: la voce di Yahvé risuona durante gli episodi del battesimo e della trasfigurazione, ma gli interlocutori, gli ascoltatori, sono i lettori. Le complessità di Yahvé sono infinite e sono rivelate dall’impressionante alternanza dei momenti in cui si rivela a quelli in cui si nasconde. Egli dimostra inoltre una marcata inclinazione per l’iperbole, imitato in questo da Gesù, il quale insiste su perfezioni praticamente impossibili da raggiungere dagli esseri umani. Gesù viene a offrire agli uomini un sollievo dalla realtà della morte, dalla loro concreta situazione e quindi anche da Yahvé, che nel cristianesimo viene sostituito da un Dio padre presumibilmente più ammorbidito.