La spada, la bilancia e la benda sugli occhi: sono i tre elementi che caratterizzano nel tempo l’immagine della giustizia e che, in relazione con la religione, il diritto e la storia delle istituzioni, sono al centro di un’appassionata ricerca che Adriano Prosperi conduce utilizzando numerosi riferimenti iconografici, a partire dal Medioevo sino ai giorni nostri. In particolare è sull’immagine della giustizia come "donna bendata" – immagine che fece la sua comparsa moderna in un’incisione del 1494 ed ebbe immediata e ampia diffusione – che si concentra l’opera, sottolineando come attorno a questa simbologia si sia costruita e consolidata l’ambiguità con cui si è valutato l’operato del sistema giudiziario: da un lato il giudizio negativo di chi vi vede all’opera la casualità, dall’altro lato il giudizio positivo di chi ne coglie l’imparzialità e l’incorruttibilità assoluta. Nella rapida fortuna della figura della donna bendata, sottolinea Prosperi, ebbe un ruolo importante la familiarità con l’immagine del Cristo bendato e percosso ricordato nei Vangeli, simbolo del giusto insultato e condannato senza colpe. L’immagine del processo a Gesù aveva inoltre lasciato una traccia profonda nelle concezioni e nell’esercizio del potere di giudicare: termini quali colpa, pena, riparazione, riscatto, perdono, assoluzione, apparivano infatti sospesi tra l’orizzonte religioso e la dimensione concreta della prassi giudiziaria. Era indubbio, secondo Prosperi, che l’idea di giustizia e della sua amministrazione, fin dagli inizi del suo percorso iconografico, apparisse proiettata sullo sfondo di un immaginario religioso e che l’intreccio tra giustizia terrena e giudizio divino, tra peccato e reato avesse fatto parte dell’elaborazione concettuale del mondo giuridico occidentale. Non a caso, l’immagine della donna bendata comparve proprio nel momento in cui il potere di giudicare passò nelle mani delle autorità centrali dello Stato che, cancellando le consuetudini locali, avevano necessità di una rappresentazione efficace della loro imparzialità. L’elemento iconografico del velo che copre gli occhi della Giustizia era infine strettamente legato al tema dello sguardo e della sorveglianza che ha costantemente caratterizzato la riflessione sulla sua applicazione e che ha seguito un percorso che non si può dire concluso: l’occhio divino che si immaginava posato sui giudici si è oggi trasformato, conclude Prosperi, diventando quello collettivo delle immagini televisive e assumendo un potere più grande e più immediato, che può diventare il principale ostacolo al raggiungimento del fine proprio delle istituzioni giudiziarie.