In questo volume Skinner propone una nuova interpretazione della filosofia di Hobbes individuando nel passaggio fra la scrittura del De Cive (1642) e quella del Leviathan (1651) una cesura circa la concezione della relazione fra retorica e ragione. Secondo l’approccio storiografico «contestualista» che contraddistingue la Scuola di Cambridge, l’Autore dedica la prima parte del volume alla discussione rinascimentale sulla natura delle scienze morali e sul ruolo dell’elocutio al loro interno. È così illustrato il recupero dell’ars rethorica di Cicerone e Quintiliano da parte degli umanisti inglesi (a partire da Thomas Wilson) che la ritenevano una parte fondamentale del buon vivere civile e cristiano. In questo modo essi operavano una «retorizzazione» della scienza civile e della filosofia morale arrivando in certi casi a identificare – secondo il modello di Quintiliano – insegnamento e persuasione. Nella seconda parte del libro, Skinner si concentra invece sugli specifici argomenti a sostegno della propria interpretazione hobbesiana, individuando tre distinte fasi nel percorso intellettuale di Hobbes. Innanzittutto, l’Autore sostiene che la formazione di Hobbes fu essenzialmente umanistica e che l’uscita degli Elements of Law (1640) e del De Cive costituì il culmine di un progetto inteso a coprire tutte e cinque le discipline degli studia humanitatis. Tuttavia, proprio nella redazione di queste due opere manca l’apporto dell’ars rethorica le cui regole erano state, invece, seguite in precedenza. La spiegazione, secondo Skinner, è da rintracciare nel fatto che Hobbes aveva conosciuto il metodo geometrico degli Elementi di Euclide, entrando così nella seconda fase della sua vita intellettuale. Questa sarebbe caratterizzata da un attacco alla scienza civile umanistica articolato nei confronti dei codici retorici in cui essa era espressa: Hobbes non tenta di accreditare la propria credibilità in quanto autore e critica l’inventio e l’elocutio. Negli Elements, per esempio, il rigetto dei valori umanistici e dell’ideale di cittadinanza che vi era sotteso è manifestato dalla connessione stabilita fra eloquenza e sedizione. Gli Elements e il De Cive sono dunque interpretabili come il tentativo di sostituire la scientia civilis umanistica con una teoria della giustizia e della politica basata su premesse scientifiche e, per questo, intrinsecamente capaci di persuadere. La terza fase del pensiero hobbesiano corrisponderebbe invece con la stesura e le pubblicazioni delle diverse edizioni del Leviathan in cui ai metodi della scienza si affiancherebbe una positiva valutazione della potenza dell’eloquenza, suggerendo perciò una diversa relazione del rapporto fra ratio e oratio. Secondo Skinner questo mutamento nei confronti della retorica è fondato su un pessimismo del tutto nuovo nei confronti della capacità della ragione di vincere l’interesse personale e l’ignoranza, e non solo dalla necessità di rivolgersi a un uditorio più ampio. In conclusione occorre ricordare che il volume, pubblicato in inglese nel 1996, ha dato avvio a una ricca discussione sull’effettiva presenza di una discontinuità circa l’interpretazione della ragione nel percorso intellettuale hobbesiano di cui Skinner rende conto nella prefazione all’edizione italiana.