Il volume Il ritmo dell’essere accoglie l’esito della riflessione filosofica che Raimon Panikkar ha condotto nel corso di tutta la sua vita. Il contenuto tematico dell’opera comprende le questioni caratterizzanti del suo intero percorso filosofico: molti interpreti sostengono infatti che si tratti della sua più importante opera filosofica. Concepita e scritta per la prima volta come testo delle Gifford Lectures, tenute da Panikkar a Edimburgo nel 1988-1989, la sua stesura ha impegnato il filosofo fino a poco tempo prima della morte, avvenuta nell’agosto del 2010. Ciò rende Il ritmo dell’essere – in qualche modo – una radicale testimonianza della convinzione del suo autore relativa all’inseparabilità di filosofia e vita. Il libro è apparso in Italia nel maggio del 2012 all’interno del progetto di pubblicazione dell’Opera Omnia di Panikkar, con la traduzione di Milena Carrara Pavan e di Paulo Barone, come primo tomo del volume X, intitolato Filosofia e teologia. In Il ritmo dell’essere il pensatore catalano presenta in maniera completa e approfondita il suo approccio metafisico, cosmologico e antropologico alla realtà. Per la prima volta egli entra esplicitamente nel merito delle questioni filosofiche tradizionali, senza concessioni alle convenzioni e attraversandole in profondità. Possiamo sinteticamente sostenere che il tema centrale del libro sia la descrizione di una visione unitaria e relazionale della realtà. Tale visione è presentata attraverso quello che Panikkar chiama il «mito triadico» della realtà, vale a dire la concezione della realtà stessa quale integrazione delle sue tre dimensioni costitutive: divino, umano e cosmico. Tale integrazione non è sostanziale, pur essendo costitutiva. La realtà, infatti, è nella relazione fra le sue dimensioni. In ciò, e non nella sostanza, si trova il suo fondamento. L’autore affronta il contenuto del «mito triadico» descrivendo le formulazioni che esso ha ricevuto nella tradizione filosofica e religiosa cristiana e in quella indiana: la trinità e l’advaita. Da questa descrizione emerge il darsi di un’«invariante antropocosmica» che determina la coscienza umana della relazionalità costitutiva del reale. Il risvolto filosofico di una simile concezione conduce Panikkar a perseguire il definitivo superamento dell’epistemologia dualista e a sostenere che la via più autentica per la conoscenza della realtà è il contatto diretto con essa, la sua esperienza: «il Tutto non è la somma di sé sostanziali, non è un oggetto e pertanto risulta inaccessibile a una episteme che si propone di raggiungere una conoscenza oggettiva» (pag. 33). Sullo sfondo di questa riflessione egli traccia il suo discorso sull’Essere, colto secondo la sua natura ‘ritmica’. Se il «Tutto» (che è un modo per riferirsi alla «Realtà») non è la somma di sé sostanziali, quindi non è oggetto ma è relazione, allora l’Essere è la dinamica interna di questa relazione. In tali termini Panikkar pone in evidenza il valore a un tempo inedito e tradizionale delle sue parole. Se da un lato riconosce di «non dire qualcosa di nuovo», dall’altro afferma che l’originalità del suo lavoro consiste nella ricerca delle «origini» della coscienza umana del reale. Tale ricerca richiede la rinuncia al dominio del pensiero oggettivante, che costituisce il mito fondante della modernità. Dalla rinuncia emerge la speranza, che è il tema che egli ha davvero a cuore. La speranza appare laddove i limiti della misurazione e della volontà di possedere il reale lasciano il posto all’ascolto dell’invisibile e dell’incommensurabile. Per concludere sembra opportuno evidenziare come Il ritmo dell’essere sia un’opera eminentemente e intimamente interculturale, sia per la pluralità dei riferimenti teoretici e simbolici cui attinge nelle sue argomentazioni, sia per l’apertura dell’orizzonte di senso che adotta nella lettura delle questioni filosofiche.