La gestione della diversità morale e religiosa è una delle sfide più importanti per le società contemporanee. Non solo in Italia, la definizione di "laicità" e il ruolo della religione nell’ambito pubblico non trovano un consenso stabile e sono anzi all’origine di incertezze e ambiguità legislative. Si tratta in effetti di questioni difficili che Charles Taylor, autore del celebre L’età secolare, e Jocelyn Maclure (professore di Filosofia all’Università Laval, Quebec) affrontano con chiarezza espositiva e ricchezza di esempi in un saggio che può essere utile anche nel contesto italiano. La laicità viene spesso affrontata senza un’adeguata analisi dei suoi principi costitutivi: tutto ciò ha portato nel corso del tempo o all’attribuzione di uno statuto preferenziale a una religione (con conseguente marginalizzazione delle altre) o a posizioni nettamente antireligiose. La mancanza di chiarezza concettuale con cui si affronta questo dibattito ha pure comportato un’aspra contesa che verte su due termini: la laicizzazione (indipendenza dello Stato rispetto alla religione) e la secolarizzazione (erosione dell’influenza della religione sulle pratiche sociali e sui comportamenti individuali). La laicizzazione è un processo politico, la secolarizzazione è un fenomeno sociologico: lo Stato deve quindi tendere alla laicità senza promuovere la secolarizzazione.
Taylor e Maclure distinguono due modelli di laicità: 1) repubblicana, che attribuisce alla laicità il compito di favorire il rispetto della parità morale, l’emancipazione degli individui e lo sviluppo di un’identità civile comune, relegando nella sfera privata le appartenenze religiose; 2) liberal-pluralista, in cui la laicità ha la funzione di trovare l’equilibrio ottimale tra il rispetto della parità morale e quello della libertà di coscienza, anche ammettendo la presenza di elementi religiosi nello spazio pubblico, con i necessari accomodamenti (ad esempio i cibi delle mense o gli orari di lavoro che permettano il rispetto delle pratiche religiose).
Il compito più importante di un regime laico, avvertono i due autori, è far si che gli Stati si adattino in modo adeguato alla profonda diversità morale e spirituale che esiste all’interno dei loro confini. I rapporti tra persone religiose e non religiose sono spesso segnati da incomprensione, sfiducia e, a volte, da intolleranza reciproca. È quindi da auspicare un’etica del dialogo che rispetti le differenti prospettive metafisiche e morali. In uno Stato democratico e liberale quei gruppi o individui che vogliono perpetuare tradizioni o universi di credenze particolari si dovranno confrontare con offerte plurali "garantite" dallo Stato, che difende la loro eguaglianza: in questo modo tanto il credente quanto l’ateo potranno vivere secondo le proprie convinzioni, senza imporre agli altri la propria concezione del mondo.
Ma la laicità deve esigere il sacrificio del patrimonio storico-religioso delle società? A questa domanda Taylor e Maclure rispondono affermando che una concezione adeguata della laicità deve cercare di distinguere ciò che costituisce una forma di istituzionalizzazione della religione (per esempio, le preghiere prima di una seduta di un consiglio) da ciò che riguarda invece il patrimonio storico della società (una statua di carattere sacro in un luogo pubblico o il calendario cadenzato su festività religiose): la via da intraprendere è quella di costruire ragionevoli pratiche di accomodamento che permettono di mantenere la continuità storica e di correggere le discriminazioni indirette.
Le credenze religiose non sono certo gli unici criteri di giudizio nella vita di un individuo. Ciò che le accomuna a convinzioni secolari (per esempio, il pacifismo) è che esse impegnano la coscienza della persona al punto da costituirne il senso di integrità morale: l’intensità dell’impegno personale verso una certa convinzione costituisce l’elemento di somiglianza tra le credenze religiose e le convinzioni secolari riguardanti la libertà di coscienza. Per questo motivo è necessario evitare il rischio della proliferazione delle istanze di accomodamento, tracciando una linea di demarcazione tra impegni fondamentali e preferenze personali: una convinzione di coscienza comporta un’irriducibile dimensione soggettiva, non pubblica. Le società contemporanee devono allora sviluppare un sapere etico e politico che permetta di gestire la diversità morale, spirituale e culturale. I sostenitori di concezioni del mondo quali i monoteismi, l’ateismo militante, le religioni orientali, concludono i due autori, «devono imparare a convivere e stabilire legami di solidarietà: la laicità pluralista delineata in questo libro è la più adatta a favorire tale apprendimento» (p. 121).