Video integrale
La tesi, semplice e intelligente, è che la rete digitale, abbassando drasticamente i costi di distribuzione, stia trasformando un’industria culturale concentrata sugli hits, dedita allo sfruttamento intensivo dei grandi successi, in un sistema più elastico, fondato sulla valorizzazione delle nicchie di consumo. Nel cuore del ‘900, gli alti costi di esercizio costringevano la produzione culturale a investire su poche operazioni, su quel pugno di titoli che faceva il core business dell’industria discografica, o di quella letteraria e cinematografica: attraverso canali fluidi come Amazon, è ora possibile distribuire anche opere di scarso successo, che trovano una porzione di pubblico a cui destinarsi, una nicchia evolutiva in cui sopravvivere. Un pubblico non raccolto né localizzato, dato dall’insieme di pochissimi casi individuali, sparpagliati per il pianeta, indipendenti e ignari l’uno dell’altro, che però attraverso il Web è possibile raggiungere a costi molto contenuti: la distribuzione digitale può così illuminare la faccia nascosta della luna, e recuperare l’infinita serie di titoli che si agitano nei mercati minori, lontano dalle luci della celebrità e del successo. In apparenza, infatti, l’idea che la rete estenda la cittadinanza agli oggetti esclusi sembra agire per il decentramento, sottrarre autorità ai nodi egemoni, e attaccare la roccaforte dei monopoli della cultura.
Eppure, malgrado la retorica sprigionata intorno alla teoria della coda lunga, il suo funzionamento non contraddice affatto le tendenze di concentrazione della ricchezza e dell’informazione: anzi, ne è uno sviluppo e una conferma ulteriore. Non è un caso, infatti, che lo sfruttamento della coda lunga non ha prodotto una proliferazione di nuovi centri del sistema culturale, ma, tutto all’opposto, l’addensamento del traffico intorno a pochi nodi capaci di organizzarlo, come Amazon, e agire, per l’ennesima volta, da connettori della rete. Cambia il modo di produrre ricchezza, forse, ma non per questo aumenta il numero di quanti riescono a farlo. Il paradosso è che, per valorizzare il pulviscolo delle opere disperse, è necessario il campo di attrazione di un grande hub. […] Tutto ciò sembra confermare che nell’era del controllo nella quale viviamo il potere è dislocato in una trama decentrata e sommersa, «transita attraverso» gli individui e non al di sopra di essi, come scrive Foucault, ma non per questo è distribuito in modo anarchico: all’opposto, muove dai suoi «meccanismi infinitesimali» fino a quelli «più generali» e a «forme di dominazione globale», secondo uno schema «ascendente» a cui il Web sembra offrire idealmente i propri servizi, con la sua gerarchia edificata su una piramide di link che in apparenza dissolvono l’autorità nell’intera struttura, ma in realtà la addensano intorno all’orbita di pochi connettori, dopo averla agitata davanti agli occhi di tutti. Proprio i dispositivi tecnici hanno imposto una nuova dimensione del controllo, uno stato di sorveglianza attraverso il computer, che porta a compimento la lunga evoluzione degli strumenti di disciplina; il taglio in profondità di un potere non sovrano, carente sul piano della legittimità ma spietato nel suo attacco alle trame del quotidiano.
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.