Nell’età della globalizzazione, le istituzioni politiche dovrebbero percepire come una propria risorsa una delle caratteristiche più originali delle presenti transizioni epocali: sempre di meno le relazioni e le interazioni fra individui e le interazioni fra individui e collettività sono disciplinate da relazioni di vicinanza spaziale. Essere vicini (o lontani) spazialmente non dà alcuna garanzia immediata di essere vicini (o lontani) culturalmente, progettualmente, emotivamente. Sono soprattutto le forme assunte dalle comunicazioni umane e dalle innovazioni tecnologiche a far sì che la contiguità spaziale non sia condizione necessaria per garantire continuità e intensità alle relazioni fra individui (soprattutto negli ambiti culturali, intellettuali e professionali, ma ormai anche in taluni ambiti emotivi e affettivi). Vale anche l’inverso: oggi la prossimità spaziale è sempre di meno una garanzia che gli individui “vicini” abbiano veramente qualcosa di profondo in comune (come era insito invece nell’idea moderna di cittadinanza). Nascono nuovi tipi di comunità. E, nello stesso tempo, vengono relativizzate le antiche comunità, fondate sul privilegio delle relazioni di contiguità spaziale.
Questi processi fanno sì che il singolo individuo di fatto faccia parte di molte comunità differenti, e assuma su di sé identità differenti. L’individuo scopre in lui stesso identità diversificate e stratificate e deve mediare fra le tensioni e i conflitti che intercorrono fra di esse. In questo modo, un problema politico, meta-politico ed educativo di importanza cruciale diventa quello di sostenere il singolo individuo nei suoi sforzi di connessione e di integrazione di identità di tipo spaziale (quali sono l’appartenenza a uno stato, a una regione, a un continente, a una città) e identità di tipo non spaziale, identità puramente individuali e identità collettive, identità antiche e identità nuove. In definitiva, il compito urgente è quello di aiutare gli individui e le collettività a percepirsi come identità multiple al loro stesso interno, consentendo loro anche di percepire gli altri individui o le altre collettività come identità altrettanto multiple. Solo questo gioco di riconoscimenti reciproci della natura complessa delle identità, in se stessi e negli altri, può far emergere una nuova idea di solidarietà che non sia basata sulla rinuncia a ciò che rende differenti gli individui e le collettività, bensì sulla consapevolezza che l’interazione e la coevoluzione delle differenze sia sempre di più una necessaria precondizione per la buona salute di ogni patrimonio comune, politico non meno che culturale.
(da G. Bocchi, L’Europa globale. Epistemologie delle identità, Roma, Studium, 2014)*