In una realtà religiosa come quella greca, priva di canone, l’orfismo in quanto stile di vita divenne pervasivo proponendo modelli, ma senza imporsi. In questo modo l’astensione dalle carni o piuttosto la scelta vegetariana lo qualificarono come uno stile in opposizione con il tradizionale regime sacrificale, che culminava nel consumo di carne. Nondimeno l’orfismo non fu mai una «religione» e tanto meno una «religione esclusivista» decisa a imporsi sulle altre. Contrariamente alla tradizione esiodea, che ignora forse deliberatamente un’antropogonia, e diversamente da Pindaro, per il quale l’«unica madre» da cui dèi e uomini traggono il respiro è soltanto la lontana matrice per mezzo della quale viene giustificata la grandezza della mente umana (mentre per il resto il poeta sconsiglia ogni tentativo dell’uomo di trasformarsi in dio), l’orfismo afferma un’origine divina dell’uomo.
Attraverso questa origine «divina», che può permettere un rapporto non mediato con la divinità, l’orfismo ha rappresentato per la civiltà greca l’evasione dal mondano verso l’ultramondano e ha trovato nel dionisismo e nella possessione dionisiaca uno strumento efficace, finendo per sovrapporglisi in epoca postclassica. Sostenuta da una spinta escatologica, in parte anche soteriologica, questa evasione si realizzava per mezzo di purificazioni e di riti iniziatici; attraverso cioè uno schema cultuale analogo alle cerimonie rituali misteriche, su cui soprattutto l’orfismo pare essersi innestato e la cui introduzione era tradizionalmente attribuita a Orfeo. Se l’orfismo non può essere propriamente detto un culto di mistero, interferì con quelli per produrre il suo tipico orientamento, opposto all’ideologia dominante delle città greche, e per dare vita alla sopravvalutazione dell’eschaton che tanto spazio ebbe a partire dall’età alessandrina.
A differenza degli altri culti greci, l’orfismo si appellava a un fondatore, Orfeo, annoverato tra i theologoi, insieme a Omero, Esiodo e Museo, nel quale si fondevano insieme l’immagine dell’eroe e del poeta e nello stesso tempo fu l’unica espressione religiosa dell’antichità greca a fondarsi sul libro o più esattamente sui libri attribuiti a Orfeo, che diventavano una vera e propria forma di concentrazione del sapere in cui si condensavano e fissavano la dottrina e la pratica rituale. Ne scaturiva dunque un’opposizione al regime religioso della città, il quale invece si perpetuava tradizionalmente per via orale.
(da P. Scarpi, a cura di, Le religioni dei misteri, Roma-Milano, Fondazione Lorenzo Valla – Mondadori, 2002, vol. I: Eleusi, dionisismo, orfismo, pp. 352-353)*