La parola vangelo, o evangelo, si forma per calco dal latino evangelium – letteralmente buon annuncio, buona notizia – a sua volta legato al greco euanghélion. Mentre oggi tale termine evoca dei testi scritti, in primo luogo i libri dei Vangeli canonici o apocrifi, non era così in epoca neotestamentaria, quando esso si riferiva in genere alla proclamazione orale di un messaggio favorevole. Nella formazione dei quattro Vangeli presenti nel canone del Nuovo Testamento si possono ipotizzare tre tappe, collocabili dall’anno 30 dopo Cristo alla fine del primo secolo: la fase prepasquale, con il ministero storico di Gesù e dei discepoli radunatisi attorno a lui; quella della comunità post-apostolica, con la predicazione e la testimonianza apostolica sullo stesso Gesù; infine, il momento della stesura e della redazione scritta dei Vangeli.
Volendo individuare all’interno dei Vangeli canonici un passaggio chiave per la comprensione del messaggio di Gesù, indubbiamente i tre capitoli del Vangelo di Matteo che vanno da 5,1 a 7,27, il cosiddetto Discorso della montagna, che si inaugura con le celebri Beatitudini (5,1-16), si prestano bene all’intento. Certo, essi non contengono tutti i principali temi del futuro assetto del cristianesimo (non vi è traccia, fra l’altro, della croce, dell’eucaristia, della dimensione ecclesiale o dello Spirito), ma hanno l’obiettivo di presentare al potenziale lettore di Matteo, un giudeo-cristiano ottimo conoscitore della Torah che verosimilmente scrive fra il 70 e l’80 – per un pubblico ebraico, come si deduce da frasi e termini ebraici non spiegati in quanto dati per noti (ad es. 4,5; 5,22; 18,18; 23,33) e da ulteriori indizi –, una prima sintesi dell’insegnamento di Gesù, chiarendone la missione come quella del nuovo Mosè. Nel quadro della visione matteana è lecito sostenere che qui Gesù venga considerato come la Torah vivente, pur senza riferirlo espressamente: anche per lui, come per Mosè nel libro dell’Esodo, si danno di seguito le tentazioni nel deserto, la teofania e il dono della Legge. Due sono le direttrici della reinterpretazione della Torah offerta da Gesù, stando a Matteo: da una parte, ogni singolo precetto viene da lui ricondotto al suo principio, restituito alla sua intenzionalità originaria e, per così dire, radicalizzato; dall’altra, tutti i precetti, le tradizionali mitzvòt dell’ebraismo, sono sintetizzati in un unico elemento e ricapitolati nel comandamento-guida dell’amore per il prossimo. Indicazioni preziose per le comunità che nel frattempo si vanno formando nel nome del Signore Gesù.