Per cogliere il cuore della riflessione che Alfonso M. Iacono, già professore di Storia della filosofia all’Università di Pisa, conduce attraverso i brevi e incisivi capitoli del suo ultimo libro, Socrate a cavallo di un bastone, può essere utile accostare due passaggi, a nostro avviso cruciali: «L’apprendimento è tale se si sviluppa in ciò che si potrebbe chiamare pratica dell’illusione e che tutti sperimentiamo a partire dai racconti di fiabe e di miti» (p. 51); «I giochi, i miti, le fiabe, il teatro quando esprimono la consapevole attribuzione di valore simbolico-sociale agli oggetti e alle persone in una sorta di rovesciamento del feticismo delle merci, dove quel valore si determina nello scambio e nel prezzo che hanno cose e persone, sono pratiche di verità» (p. 36, corsivo nostro).
Chi ha consuetudine con l’intensa produzione scientifica che Iacono ha sviluppato nel corso della sua carriera, può riconoscere, espliciti o impliciti, i temi portanti della sua riflessione filosofica: la tradizione marxista, la storia del concetto di feticismo e la relazione tra osservatore e osservato; il rapporto tra vero, falso e verosimile e tra illusione e inganno; la complessità della relazione tra verità e finzione; la teoria dei mondi intermedi, definita anche attraverso un’intensa rilettura del mito della caverna di Platone, e la riflessione sui concetti che ne costituiscono l’architettura: la cornice, il limite, il confine, la capacità di attraversarli e di esserne consapevoli, di cogliere l’esistenza di mondi diversi da quelli che stiamo momentaneamente abitando con la coda dell’occhio. Tutti temi che vengono ripresi e ulteriormente approfonditi in questo nuovo libro, ricorrendo a un’ampia schiera di autori di riferimento: da Platone a Vico, da Karl Marx, William James e Alfred Schütz a Donald Winnicott e Gregory Bateson, da Cervantes a Borges, da Piero della Francesca a Paul Klee.
Ciò che emerge con maggior forza e chiarezza, e che abbiamo cercato di sottolineare con le citazioni iniziali, è una forma particolare di rovesciamento del punto di vista comune che, allo stesso tempo, Iacono coglie e pratica. I bambini non sono adulti in formazione, esseri umani non ancora completi e maturi, non ancora capaci di fare ciò che fanno gli adulti o adatti a ricoprire i ruoli assegnati agli adulti; sono invece gli adulti a dover essere considerati, e di conseguenza compresi e interpretati, come il prodotto delle attività di formazione e apprendimento svolte dai bambini. Per comprendere che cosa veramente sia un adulto è necessario comprendere come lo è diventato attraverso il suo essere stato bambino: soltanto così si possono cogliere sia gli elementi costitutivi del mondo degli adulti, sia ciò che, nel passaggio dal mondo dell’apprendimento del bambino al mondo della vita dell’adulto, in cui si dà per scontato che non vi sia più nulla da apprendere, va invece perduto. Attraverso il gioco, il fare finta di essere una mamma o un soldato – e ciò che importa non è il ruolo che si finge di assumere: ogni società ne definisce uno che ritiene appropriato; ciò che importa è che attraverso questo processo si guadagna il proprio ruolo nella società e, in sua assenza, si rischia di perdere la propria identità individuale e sociale –, i bambini imparano ad assumere il proprio ruolo nella società, imparano a distinguere tra verità e finzione, tra illusione ed inganno, imparano ad attraversare le cornici e i confini che delimitano i diversi contesti di vita e i diversi mondi: cavalcando con la massima serietà un manico di scopa; sanno perfettamente che non è un cavallo eppure vivono intensamente l’avventura di una cavalcata, sufficientemente lontana perché si sentano autonomi, colgono la presenza della madre con la coda dell’occhio.
Ciò consente di far emergere l’importanza del lavoro sociale e della cooperazione che è costitutivo del mondo degli adulti, ma che gli adulti dimenticano nel processo di naturalizzazione che determina ogni forma di feticismo. Ecco perché quelle medesime pratiche di illusione che costituiscono il gioco dei bambini, ma anche il teatro, i miti e le fiabe, sono le pratiche di verità che rovesciano il feticismo, rivelano il processo di naturalizzazione del lavoro sociale e il mondo degli adulti come il mondo dei prigionieri della caverna platonica, incapaci di liberarsi, di cogliere l’esistenza di un mondo esterno, di attraversare la soglia tra mondi diversi.
Vi è una definizione più efficace e puntuale del lavoro filosofico di questo processo di apprendimento che rivela la necessità di vivere in mondi intermedi e di comprendere che le pratiche di illusione sono anche e sempre pratiche di verità? Certo, esiste, e la ricorda lo stesso Iacono citando Gianni Rodari: i bambini, forse filosofi migliori degli adulti, possiedono quella volontà di crescere (p. 34) che gli adulti, troppo spesso, troppo facilmente e troppo presto, abbandonano, credendo di aver raggiunto la propria meta.