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Il secondo concilio di Nicea fu ufficialmente il settimo e ultimo concilio ecumenico. Per la tradizione ecclesiale bizantino-ortodossa tale concilio fu decisivo in ordine alla tematizzazione della dottrina iconica e discriminante rispetto all’ermeneutica precedente sulle immagini sacre. Il cristianesimo latino invece, che sottoscrisse gli atti del Niceno II, nella prassi ignorò sostanzialmente le tesi proposte e continuò a intendere il senso dell’immagine sacra nella linea didattica e illustrativa che aveva segnato il pensiero del cristianesimo fino alla controversia iconoclasta e alle risoluzioni del settimo concilio ecumenico. Ragionare sui fondamenti teologici della dottrina iconica del secondo concilio di Nicea significa innanzitutto considerare attentamente la peculiare caratterizzazione teologica dell’immagine sacra in Oriente e in Occidente: oggi, infatti, ci troviamo di fronte a due cristianesimi che pensano e vivono l’arte religiosa in modi assolutamente differenti e, al di là di marginali reciproche contaminazioni, per molti versi distanti. L’attuale divergenza ha radici lontane, si definì proprio nel secondo concilio di Nicea, e si rinforzò nel corso di una storia secolare che i due cristianesimi vissero in autonomia rispetto al tema delle immagini sacre. La diversa prospettiva dottrinale sprona la ricerca a indagare le radici di orientamenti che – nonostante il vibrante fascino per le icone che ha attraversato il mondo occidentale negli ultimi due secoli e un indubitabile interesse per l’arte occidentale su cui il cristianesimo ortodosso ha riflettuto – permangono lontani e sono il frutto di una storia che spesso dimentica il dibattito comune che si consumò attorno alla controversia iconoclasta e in occasione della convocazione del secondo concilio di Nicea. Gli sguardi che Occidente e Oriente si sono scambiati – pur tra i fraintendimenti occidentali del significato teologico dell’icona e le condanne ortodosse per l’eccesso di creatività e autonomia che emana dai dipinti a soggetto religioso – ci invitano a indagare con attenzione le radici della disputa sulle immagini sacre per spiegare il senso di una domanda comune al cristianesimo dei primi otto secoli, che sfociò in un confronto complesso e molto interessante in cui la teologia svolse un ruolo da protagonista e che decretò esiti artistici ed ermeneutiche teologiche divergenti, pur nella comune valorizzazione dell’immagine sacra. I fondamenti di quest’ultima, tematizzati al secondo concilio di Nicea, trovano il loro naturale contesto nell’ampio e articolato ragionamento sulla liceità e opportunità delle icone nel cristianesimo, ossia la controversia iconoclasta. Il dibattito fu immediatamente correlato dalla teologia bizantina al dogma dell’incarnazione del Logos e alla natura del suo prosôpon lungo una linea prospettica normata dalla speculazione cristologica: «L’icona di Cristo non è un ritratto storico, ma un’effige del Dio-uomo che sottolinea la divinità di Cristo e la sua dignità di Signore che trionfa sulla morte in una prospettiva escatologica».
(da E. Fogliadini, L’invenzione dell’immagine sacra. La legittimazione ecclesiale dell’icona al secondo concilio di Nicea, Milano, Jaca Book, 2015, pp. 13-14)*
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