Emile Benveniste nacque ad Aleppo il 27 gennaio 1902. Ricordato come persona dai modi sobri e riservati, morì a Versailles il 3 ottobre 1976, a sette anni di distanza dall’attacco che lo paralizzò e lo rese afasico, privando, come ricorda commosso Tristano Bolelli, l’uomo che aveva scrutato i segreti della parola, della possibilità di comunicare e di esprimersi (T. Bolelli, Emile Benveniste. Discorso commemorativo pronunciato dal Linceo Tristano Bolelli nella Seduta ordinaria del 18 novembre 1977, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1978, p.16).
Allievo di Meillet e suo successore all’Ecole Pratique des Hautes Etudes e al Collège de France, Benveniste fu ricercatore geniale e indipendente che divise equamente il proprio impegno di studioso tra le ricerche di linguistica storica e quelle di linguistica generale. In particolare, la linguistica storica deve a Benveniste una rinnovata conoscenza delle lingue iraniche e la definizione di un metodo di ricostruzione culturale che culminò nel Vocabolario delle istituzioni indoeuropee (1969). E’ questa un’opera che si è rivelata estremamente feconda, divenendo fonte privilegiata per chiunque intenda ripercorrere la storia di alcuni dei concetti costitutivi del mondo occidentale. L’altra opera a cui Benveniste deve la propria fama è Problemi di linguistica generale (vol. I, 1966; vol. II, 1974), in cui sono raccolti gli articoli più importanti relativi all’esame delle lingue moderne, allo statuto della linguistica come disciplina autonoma e al rapporto tra la linguistica e le più importanti scuole con cui Benveniste si è confrontato: in particolare strutturalismo, filosofia analitica e psicoanalisi.
Proprio per la sua evidente partizione, l’opera di Benveniste richiede di essere esaminata nella sua globalità, ricostruendo gli elementi che ne sono costitutivi e che presiedono allo sviluppo delle diverse linee di ricerca che la caratterizzano. Allo stesso tempo, emerge la necessità di chiarire i modi in cui Benveniste è debitore o si distacca dalle scuole linguistiche del proprio tempo. Poiché, se forte è il debito contratto con lo strutturalismo, come testimoniato da numerosi articoli e dal riconoscimento di un’influenza decisiva dell’opera di Saussure nello sviluppo della propria riflessione, è altresì vero che diversi sono gli elementi che lo distinguono da questa scuola e che impediscono di assimilarlo completamente ad essa. In primo luogo, deve essere riconsiderato il parallelismo, solitamente avallato dalla letteratura secondaria, tra la coppia langue – parole in Saussure e la coppia langue – discours in Benveniste. Allo stesso modo, non può essere trascurato come Benveniste abbia fortemente criticato il concetto di “arbitrarietà del segno” di Saussure (Cfr. G. Lepschy, L’arbitrarietà del segnoIntorno a Saussure, Torino, Stampatori Editore, 1979). Infine, e soprattutto, Benveniste sottolinea con forza che ridurre la lingua alla disposizione e alla solidarietà dei suoi elementi (non importa se secondo il modello strutturalista francese o americano) è un profondo misconoscimento del dato linguistico, il quale “non è un dato primo di cui ci sia soltanto da separare le parti che lo costituiscono, ma è già un complesso, alcuni valori del quale risultano dalle proprietà particolari di ciascun elemento, altri dalle condizioni del loro assetto, altri ancora dalla situazione oggettiva” (Tendenze della linguistica generale, PLG I, pp. 19-20). Infatti, prosegue Benveniste, è possibile concepire diverse forme di descrizione e di formalizzazione, ma devono tutte necessariamente presupporre che il loro oggetto, la lingua, “è «informato» di significato, che proprio per questo è strutturato e che tale condizione è essenziale al funzionamento della lingua fra gli altri sistemi di segni.” (Ibid.)
In modo diverso, merita di essere riconsiderato anche il rapporto con la filosofia analitica. Il concetto di discorso benvenistiano è spesso riconosciuto come precursore – dunque mai come fonte diretta – del concetto di performativo. Tuttavia non è possibile ridurre né Benveniste né la filosofia analitica a questa sola dichiarazione di affinità, essendo invece necessaria una più attenta definizione di tale rapporto. Ne fa fede l’articolo dedicato a La filosofia analitica e il linguaggio (PLG I, pp. 321-331) nel quale Benveniste riprende la distinzione tra enunciati esecutivi e costatativi per criticare il tentativo di Austin di rendere meno netta la loro differenza. Ciò che Benveniste critica in Austin è un riferimento non sempre chiaro a quanto vi è di extralinguistico in ogni enunciato costatativo. A dimostrazione del fatto che, sebbene Benveniste faccia proprio il riconoscimento dell’impossibilità di ridurre al solo dato formale la lingua – come abbiamo già sottolineato a proposito del confronto con lo strutturalismo – tuttavia ciò non è possibile senza una conoscenza profonda di quanto nella lingua è soggetto a un ordine efficace. Inoltre, se preoccupazione maggiore della filosofia analitica è la descrizione, la più attenta possibile, delle modalità attraverso le quali l’enunciazione serve a effettuare un’azione – in modo tale che formulare l’enunciato è effettuare l’azione -, Benveniste rivolge piuttosto la propria attenzione al fatto che l’enunciazione è innanzitutto un atto individuale di appropriazione della lingua. E in quanto tale costitutivo del soggetto. Ciò è possibile solo perchè l’enunciazione presuppone la presenza dell’altro e un riferimento alla realtà che è proprio di ogni discorso. Nel discorso, infatti, la possibilità del riferimento necessita alla condivisione dell’esperienza, la quale si dà nell’alternanza dei ruoli del locutore e dell’ascoltatore e nella coerenza acquisita nella comunicazione grazie alla presupposizione della costanza del riferimento (Cfr. L’apparato formale dell’enunciazione, in PLG II, pp. 96-106).
Da questa breve introduzione, e procedendo per sommi capi, ché sarà compito delle relazioni del seminario approfondire questi temi, emerge come la posizione di Benveniste comporti innanzitutto il rifiuto di risolvere la comunicazione in una teoria dell’informazione e il linguaggio in uno strumento della comunicazione. Nel momento in cui la relazione con l’altro e con il mondo divengono momenti costitutivi del discorso, la struttura dell’enunciazione non può essere che quella del dialogo. Allo stesso tempo, l’analisi della natura del segno e del riferimento simbolico comporta un riferimento costante alla dimensione extralinguistica del linguaggio, la quale non può che corrispondere a un “progetto” antropologico (a cui Benveniste tuttavia non assolve completamente auspicando, tra l’altro, una ripresa del pensiero di Peirce). Ciò trova conferma in una definizione di cultura così ampia che non può non essere importante per noi: “chiamo cultura l’ambiente umano, tutto ciò che, al di là dell’assolvimento delle funzioni biologiche, dà forma, senso e contenuto alla vita e alle attività umane”.
Da questa concezione, che rende indissociabile l’atto del comunicare e l’elaborazione dei valori costitutivi delle società e delle culture umane, nasce il Vocabolario delle istituzioni indoeuropee, nel quale Benveniste va oltre le classiche istituzioni del diritto, del potere e della religione per indagare “quelle meno appariscenti che si disegnano sulle tecniche, sui modi di vita, nei rapporti sociali, nei processi di parola e di pensiero”. E non potrebbe essere altrimenti, poiché rinunciare alla riduzione della lingua al solo dato formale, comporta la rinuncia a una ricostruzione causale della lingua, dunque alla possibilità di ricostruire attraverso la storia degli etimi una lingua ormai scomparsa. Una volta ancora è ribadita la rilevanza del senso di cui la lingua è portatrice, e di tutto ciò che in essa è storicamente sedimentato e quotidianamente oggetto di trasformazione. La lingua, ri-producendo la realtà, ri-produce tutto ciò che nella realtà si dà: la relazione intersoggettiva, la relazione con il mondo, la nascita, la trasformazione e il mantenimento delle istituzioni. Ecco perché Dessons, in uno dei più recenti e interessanti lavori su Benveniste, a proposito di Benveniste, afferma che la nozione di linguaggio deve essere pensata antropologicamente in termini di cultura (G. Dessons, Emile Benveniste, Paris, Bertramd-Lacoste, 1993, p.56).
Riepilogo
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