A partire dal Novecento sono emerse due concezioni contrastanti della tecnica. Da una parte, la fiducia nelle possibilità potenzialmente illimitate del progresso ha spinto a considerare la tecnica in senso positivo, ovvero come il dispiegamento creativo di una serie di attitudini umane finalizzate alla realizzazione di strumenti in grado di rispondere alle necessità materiali. Per i difensori di questa posizione, la tecnica consentirebbe un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e una graduale emancipazione dai bisogni. Dall’altra parte, la tecnica è stata considerata come una forma di sottomissione dell’individuo a un processo di razionalizzazione spersonalizzante in cui a contare sono soprattutto la funzionalità, l’efficienza e la produttività degli attori coinvolti. Secondo i fautori di questa posizione, la razionalità tecnologica produrrebbe tensioni e conflitti sociali e un aumento delle diseguaglianze economiche. Al di là di queste visioni contrapposte, risulta evidente che nella società a tecnologia avanzata nella quale viviamo la conoscenza coincide spesso con il saper fare della tecnica e il confine tra scienza pura e ricerca applicata si è ormai ridotto fino quasi ad annullarsi, tanto che si parla con sempre maggiore frequenza di tecnoscienze. Questa pervasività della tecnica ha imposto un ripensamento dei rapporti tra scienza e società, facendo emergere la necessità che tanto il dibattito in materia di politica della ricerca quanto le relazioni tra la comunità scientifica, i governi, le imprese private e i cittadini siano regolati da principi democratici di partecipazione consapevole ai processi decisionali e alla gestione delle risorse. L’avvento delle tecnologie digitali ha reso il problema ancora più urgente. La rete, infatti, si presenta idealmente come uno spazio di espressione libero, in cui è possibile creare e condividere informazioni senza censure. In realtà, non sono pochi gli ostacoli, alcuni dei quali di natura strutturale, che sembrano smentire tale assunto nel breve periodo. Anzitutto, esiste ancora una profonda disparità nelle possibilità sia di accesso ai media digitali sia di acquisizione delle competenze necessarie per valutare l’attendibilità delle informazioni disponibili sul web (in particolare fonti e provenienza); in secondo luogo, vi sono dati che, pur di natura pubblica, sono sottoposti a restrizioni e limitazioni perché la loro divulgazione è avvertita come una minaccia per la sicurezza dei cittadini e degli Stati; non da ultimo, deve essere considerato il rischio di un’eccessiva concentrazione di potere che consentirebbe a una esigua minoranza di detenere gli strumenti di elaborazione e trasmissione della conoscenza e quindi di decidere dall’alto e talvolta in regime monopolistico le regole del gioco. Tutto ciò non garantisce un vero processo di democratizzazione del sapere, ma al contrario afferma una visione della conoscenza come bene economico, subordinato alla volontà di ottenere profitti, riproponendo a livello virtuale quei rapporti di forza che esistono nella società reale. Anche in campo artistico la tecnica ha rivelato la sua natura ambivalente. Da un lato, la riproduzione su larga scala dell’opera d’arte ha messo in discussione i principi dell’unicità e dell’autenticità – la cosiddetta “aura” – aprendo la strada all’affermarsi di una vera e propria industria culturale guidata da criteri di standardizzazione e mercificazione. Non di rado l’arte appare ridotta a prodotto commerciale di svago e di intrattenimento, con la conseguenza che la capacità immaginativa dell’artista ne risulta depotenziata e i suoi fruitori sono spesso equiparati a meri consumatori. Dall’altro lato, però, la tecnica artistica contiene in sé un valore emancipativo e utopico indiscutibile. L’arte infatti si presenta come uno strumento utilissimo tanto per esplorare limiti e potenzialità delle innovazioni tecnologiche e per valutarne gli effetti, quanto per prendere coscienza dall’interno delle contraddizioni sociali. In tal senso, la tecnica, con le sue regole e i suoi automatismi formali, non rappresenta affatto un ostacolo per la libertà espressiva e critica dell’artista; anzi è ciò che la rende pienamente possibile. Il presente ciclo di lezioni del Centro Culturale prosegue la discussione sul tema della tecnica già avviata con il ciclo di lezioni dell’autunno 2016. Mentre nella prima parte dei lavori è stata data precedenza, in una prospettiva di lungo periodo, alla discussione dei principali nodi storici e teorici relativi alle diverse concezioni della tecnica, in questo ciclo viene dato spazio ad alcune questioni caratteristiche delle società contemporanee. Come tutte le transizioni, anche quella verso l’era dell’informazione sta determinando effetti dirompenti dal punto di vista culturale, sociale ed economico. In questa difficile fase di passaggio, le tecnologie rivestono ancora una volta un ruolo decisivo perché dal loro uso dipende il futuro stesso della conoscenza. La scelta è tra il considerare il sapere come un bene privato, la cui libera circolazione può essere ostacolata anche attraverso strumenti di natura immateriale e dalla cui fruizione possono essere esclusi singoli o interi gruppi sociali, e il promuovere la conoscenza come un bene pubblico su scala globale, alla portata di tutti e senza impedimenti. Nel secondo caso la fondazione di una società della conoscenza veramente inclusiva sarà legata alla capacità di saper gestire i nuovi processi produttivi e di saper cogliere le opportunità di sviluppo che provengono dalle nuove tecnologie, cercando di ridurre al minimo i rischi per la stabilità delle democrazie.
Riepilogo
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Informazioni e contatti | La partecipazione è libera. A richiesta si rilasciano attestati di partecipazione. Le lezioni si tengono presso la Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, Modena, tel. 059.421240, fax 059.421260, cc@fondazionesancarlo.it. |