I ‘profeti’ sono tornati. E non soltanto ai margini dell’Occidente, nelle ampie superfici di contatto e creolizzazione del Cristianesimo con religioni politeiste, ma nel cuore stesso della Cristianità. Forti di potere carismatico, portavoce della volontà stessa di Dio, essi rinnovano l’annuncio della fine, l’esigenza di riforma (terrena) e di rinnovamento (spirituale), la venuta imminente del Regno del Bene. Connessi per un verso al diffuso clima apocalittico che accompagna il passaggio di millennio, i nuovi profetismi intersecano, per altro, le trasformazioni stesse della modernità e della modernità religiosa costituendo un terreno privilegiato per interrogarne la storia, le caratteristiche e i destini. Il seminario del Centro Studi Religiosi intende proseguire il lavoro poliennale sulle metamorfosi del sacro nel mondo contemporaneo mettendo a fuoco alcune delle questioni che il profetismo solleva sul piano storico-antropologico, storiografico e teologico.
Si tratta, in primo luogo, di riproporre alla riflessione la definizione stessa di profeta oltre quella modellata a fine Ottocento sul profetismo biblico capace di rendere conto di fenomeni di portata più ampia, rinvenibili tanto nelle esperienze religiose del Vicino Oriente antico, quanto nelle religioni indigene, dove sono studiati dall’etnologia come fenomeni di ‘sciamanesimo’ e ‘possessione’. L’approfondimento storiografico e comparativo consente, da un lato, di individuare i tratti caratterizzanti del profetismo come comunicazione tra piano umano e piano divino e di fare risaltare, dall’altro, le differenze proprie delle diverse epoche e culture religiose.
Su questo sfondo prende infatti rilievo la specificità delle religioni di salvezza e dei profeti biblici, svincolati per lo più dal servizio presso istituzioni politiche e dotati di una precisa e autonoma autorità che deriva loro direttamente dalla chiamata divina. La gratuità della loro profezia, mentre li differenzia dagli specialisti mesopotamici della divinazione, rafforza la loro missione di fronte al re e al popolo ai quali annunciano la punizione imminente per il peccato commesso con accenti che in età più tarda si coloreranno di elementi messianici ed escatologici.
In questa ottica e secondo una tipica dialettica tra tradizione e innovazione, tra tempo dell’origine e tempo della fine che pare caratterizzare ogni annuncio profetico – l’azione di Gesù si inserisce nel solco del modello biblico, ma contemporaneamente se ne distacca, parlando non in vece di Dio, ma in nome di una autorità che trova in se stessa la propria legittimazione. Per il Cristianesimo delle origini questo significa reinterpretare la profezia non più come individualità solitaria, ma come carisma esegetico donato a tutti coloro che fanno parte dell’Ecclesia alla cui edificazione la stessa profezia mira, secondo una prospettiva che vede la perfezione come possibilità conseguibile nella vita e nella storia.
Si comprende così la forte tensione tra il carisma personale di profeti sempre riemergenti e il carisma profetico della Chiesa (‘d’ufficio’ secondo la terminologia weberiana) che attraversa la storia del Cristianesimo e che, soprattutto nei periodi di crisi, comporterà riforme, lacerazioni e opposizioni. Le stesse che caratterizzeranno anche le forme secolarizzate del profetismo cristiano che hanno marcato la formazione del mondo moderno e che le opporranno agli stati assoluti e alla loro volontà di ‘controllo del futuro’. E si comprende anche come la profezia si indebolisca nella modernità, portatrice a sua volta di una filosofia della storia progressiva che, come tale, si presumeva capace di riassorbire in sé la carica profetica contestatrice del presente e suscitatrice di avvenire.
Da questo punto di vista i vasti movimenti profetici che trascinano milioni di fedeli nelle aree africane e amerindie sembrano rispondere alla stessa logica della tarda modernità che caratterizza l’Occidente. Di una modernità che, esaurite le ‘magnifiche sorti e progressive’, non solo non risolve il sacro entro l’ideale della ragione emancipativa, ma mostra semmai quanto la stessa idea di progresso fosse l’audace combinazione di prognosi razionale e di profezia, di pianificazione terrena e di tensione apocalittica. E che ritrova nel tempo dell’imminenza e nello spazio dell’immanenza nei segni concreti e visibili di salute e giustizia l’espressione di una speranza a raggio della vita individuale e della storia, un rapporto personale col tempo e col mondo che interpella fortemente il carisma profetico della Chiesa e la sua elaborazione teologica.
Riepilogo
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