Nella storia dell’Occidente, l’esperienza religiosa e le forme dell’arte figurativa si sono ripetutamente incontrate e respinte anche attraverso la costante mediazione della Scrittura sacra. Il seminario intende indagare questo rapporto soffermandosi sulle prescrizioni dottrinali e sugli atteggiamenti storici, focalizzando l’attenzione dapprima sulla negazione delle immagini e il prossimo anno – nella seconda parte del seminario – sulla loro legittimazione.
Secondo un radicato mito storiografico alcune culture, di solito monoteiste, non posseggono immagini: un’assenza che può essere totale, interessare solo le espressioni figurative o limitarsi al silenzio iconografico di ciò che rientra nella sfera spirituale.
Il divieto d’immagine costituisce da sempre un elemento della riflessione filosofica sull’arte, a partire dalla condanna platonica dell’eidolon e della mimesi, ma persino l’Ebraismo e l’Islam, che enfatizzano la parola rispetto all’immagine, lo scritto sul figurato, esprimono una significativa tensione all’iconico.
Le proibizioni veterotestamentarie e le riserve della Mishnah non hanno, infatti, determinato nel giudaismo una tradizione completamente aniconica e nella lunga storia ebraica l’applicazione del divieto non è avvenuta con continuità. Se si accetta la tesi di una diffusa utilizzazione di immagini anche in luoghi di culto o in spazi adibiti allo studio e alla preghiera, ci si trova di fronte alla necessità di modificare l’immagine rigida trasmessa da gran parte della letteratura ebraica e da quella parte della critica che postula ripetutamente il richiamo ai divieti dell’Esodo, del Levitico e del Deuteronomio, ripresi in testi posteriori biblici ed extra biblici.
Se è vero che le immagini sono particolarmente esecrate dai rabbini non appena affiora anche il semplice sospetto di idolatra, è altrettanto vero che l’alto numero di trasgressioni alla regola induce a pensare che di trasgressioni non si tratti.
Non molto diversa è la situazione per l’Islam: il Corano, infatti, non proibisce raffigurazioni naturalistiche o realistiche, non più e non meno di quanto prescriva un velo alle donne o sconsigli agli uomini di cancellare con una rasatura perfetta i tratti primigeni del volto di Adamo. E’ un hadith, una citazione autorevole, ad avvertire che le creature forgiate dall’uomo si faranno animare nel giorno del giudizio per tormentare il loro artefice. Tuttavia, le fonti storiche e letterarie relative ai primi due secoli dell’Islam e oltre, parlano spesso di complessi architettonici dalle pareti decorate con immagini umane, proprio in modo da far pensare che non vi fosse alcuna sorta di divieto e di ripulsa. Almeno fino alla fine del secolo II dell’Egira siamo di fronte ad un’assenza totale di una vera e propria mentalità iconoclasta.
Riepilogo
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