Alla base di credenze, fedi, riti e pratiche di molte religioni vi sono testi il cui statuto corrisponde a quello della sacralità. Non si tratta di testi necessariamente rivelati o scritti dal fondatore della religione in oggetto ma, qualunque sia la loro origine e la loro natura, essi assumono un carattere fondativo e autoritativo che non viene messo in discussione nel corso della tradizione. Sono testi che devono però essere letti e riletti da successive generazioni di credenti, per essere prima compresi e poi seguiti nei loro insegnamenti e precetti. In una parola: i testi sacri hanno bisogno di essere interpretati. Tale interpretazione si snoda attraverso più livelli, che intersecano le dimensioni sia intellettuali che pratiche. Da un lato, infatti, i testi sacri costituiscono una forma specifica di rappresentazione della relazione tra il divino e l’umano, condensata in un testo che assume una doppia “natura”, trascendente e mondana al tempo stesso. Da un altro lato, i testi sacri costituiscono un modello insindacabile di riferimento per la comunità religiosa nel suo complesso, che li utilizza per forgiare non solo i riti religiosi, ma anche le abitudini quotidiane e i costumi sociali. Inoltre, la loro interpretazione ha ricadute tanto sul piano delle credenze e delle teologie, quanto su quello della struttura sociale e dell’architettura politica delle comunità religiose, determinando dunque le relazioni gerarchiche tra gli esseri umani intorno a un nucleo teologico-politico. La riflessione sullo statuto, il ruolo e la funzione dei testi sacri porta dunque in primo piano questioni interpretative che, pur in forme diverse tra loro, ritroviamo in tradizioni monoteistiche e politeistiche, antiche e recenti, anche se tali questioni assumono, nelle “religioni del Libro”, tratti specifici che le distinguono – pur nelle loro rispettive differenze – dalle altre grandi religioni.
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