Il 1989 ha rappresentato l’apertura di una speranza nella costruzione di un mondo senza barriere e senza contrapposizioni, un mondo senza l’incubo nucleare e senza guerre. Libertà politiche e libertà economiche avrebbero dovuto espandersi progressivamente, in un crescendo di opportunità per tutti i popoli che avessero partecipato attivamente al processo di globalizzazione. Tramontata l’utopia socialista, stava per sorgere l’utopia della democrazia liberale e dell’economia di mercato a livello globale. Purtroppo, però, le cose non sono andate così. Il conflitto politico si è riacceso a livello internazionale, seguendo strade nuove e inesplorate; la delocalizzazione delle attività produttive ha comportato dolorose ristrutturazioni delle pratiche di lavoro; le migrazioni di popoli e persone si sono accentuate, generando drammatici esodi; il primato della finanza sulla produzione ha reso impossibile il controllo politico delle transazioni internazionali, i cui esiti sono però visibili nella vita pubblica di tutti i paesi; la crescita economica di intere aree del pianeta ha permesso l’uscita dalla povertà di milioni di persone ma ha messo a dura prova la tenuta ambientale. In breve, il progetto della globalizzazione ha mostrato, nel corso di pochi anni, tutti i suoi limiti. La nuova utopia è rapidamente sfiorita, con effetti nefasti soprattutto in Europa, dove l’Unione Europea non è riuscita a dimostrarsi all’altezza delle sfide sociali, politiche ed economiche generate dalla disarticolazione della storica coincidenza territoriale tra politica, economia e diritto caratteristica dell’epoca moderna. Dopo due decenni di globalizzazione, dunque, niente è più come prima, e niente lo sarà più. Senza favorire sguardi nostalgici sul passato, oggi è almeno necessario avvertire che gli strumenti teorici con i quali le culture occidentali avevano costruito lo Stato di diritto e il welfare state sembrano ormai reperti archeologici inutili per affrontare le questioni contemporanee. A questo punto, il compito della politica europea dovrebbe consistere – oltre che nella gestione oculata e sapiente dell’emergenza attuale – nella progettazione di un nuovo modello di sviluppo di medio e lungo periodo, equo e sostenibile: il primo passo in questa direzione può però essere fornito solo da una profonda analisi critica dei processi globali che si sono sviluppati a cavallo tra XX e XXI secolo, a partire dalla consapevolezza che oggi è sostanzialmente esaurita l’utilità dei concetti filosofici e politici con i quali le società europee si sono finora costruite. Le soluzioni ai gravi problemi attuali risiedono infatti nell’elaborare una nuova architettura istituzionale e giuridica in grado di governare i movimenti globali attraverso la costruzione di una nuova articolazione tra sfera politica, economica e giuridica.
Con la dodicesima edizione del seminario di cultura europea «Le frontiere dell’Europa» il Centro Culturale intende proseguire la discussione sul tema «utopia» già avviata con il ciclo di lezioni dell’autunno 2011. Mentre nella prima parte dei lavori è stata data precedenza, in una prospettiva di lungo periodo, alla discussione dei principali nodi storici e teorici relativi alle diverse concezioni dell’utopia, nel presente seminario viene dato maggiore spazio alle questioni aperte nella vita delle società contemporanee in una prospettiva europea, visto che proprio l’Unione Europea, soprattutto dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, dovrebbe mirare a trovare spazio tra gli attori sovranazionali in grado di progettare i nuovi assetti globali. A tale compito l’Europa è delegata soprattutto per un motivo; perché – se vogliamo evitare che la globalizzazione determini un nuovo teatro di conflitti locali e internazionali fondati esclusivamente sul criterio della "forza" – è necessario sostanziare il governo politico e istituzionale dei movimenti globali (produzione, commercio, finanza, migrazioni, ambiente) con la cultura filosofica, politica e giuridica che si è faticosamente affermata nell’Europa moderna intorno al concetto di democrazia e ai processi di conoscenza. «Sapere è potere» affermava Francis Bacon all’inizio dell’età moderna, con l’intento di costruire la legittimità dell’autonomia umana, allo stesso tempo libertaria ed egualitaria: oggi, nell’epoca del lungo tramonto della modernità, questa sentenza acquista invece un carattere sinistro che, lungi dal rimandare alla sfera dell’autonomia soggettiva, sembra giustificare una condizione sociale ed economica gerarchizzata all’interno della quale le diseguaglianze non solo crescono, ma si cristallizzano in «stati di dominio» che hanno inoltre il privilegio di godere di un ampio consenso popolare, reso possibile dalla diffusione di un’ideologia che tiene insieme, paradossalmente, Stato e mercato, locale e globale, libertà e obbedienza, diritti e diseguaglianze. Abbandonate definitivamente le vecchie pratiche della violenza e della repressione, gli attuali «stati di dominio» sono fondati, costruiti e perpetuati proprio sulla conoscenza, sulla cultura, sull’ideologia; in una parola, sul monopolio dell’immaginario e, dunque, dell’utopia da parte dei «poteri indiretti», in particolare di quelli economici. Se le società democratiche vogliono riappropiarsi del loro futuro e abbandonare un modello globale centrato esclusivamente sui rapporti di forza, il primo passo consiste nell’inversione di questo monopolio dell’utopia.
Riepilogo
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Informazioni e contatti | La partecipazione è libera. A richiesta si rilasciano attestati di partecipazione. Il seminario gode dell'accredito ministeriale per la formazione del personale della scuola (D.M. 18 luglio 2005). Le lezioni si tengono presso la Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, Modena tel. 059.421208, fax 059.421260 cc@fondazionesancarlo.it http://www.fondazionesancarlo.it// |