Dal dicembre 1831 all’ottobre 1836 Charles Darwin – che era nato a Shrewsbury, nel Kent, nel 1809 – ebbe l’esperienza più importante della sua vita: sul brigantino Beagle partecipò a un viaggio di rilevazione scientifica nell’America meridionale. Pur non avendo l’incarico ufficiale di naturalista, compì esplorazioni geologiche, botaniche, zoologiche e antropologiche sulle coste e nell’entroterra, in particolare sui grandi mammiferi estinti dell’America meridionale, sui fringuelli e le tartarughe delle Galápagos, sugli effetti del terremoto in Cile, sulle scogliere coralline, sugli indigeni della Terra del Fuoco. Tornato in Inghilterra, si stabilì a Londra, frequentò geologi e naturalisti con i quali discusse dei reperti del viaggio, tenne comunicazioni su argomenti geologici alla Geological Society (di cui diventerà segretario) e iniziò la stesura dei cinque volumi della Zoology of the Voyage of the Beagle. Già nel 1837 aprì il primo dei taccuini in cui annoterà le sue riflessioni private sulla «trasformazione delle specie»: delle sue idee eterodosse mise a parte solo il geologo Charles Lyell, il botanico Joseph Hooker e il botanico americano Asa Gray.
Nel 1854 cominciò a scrivere la Natural Selection, incompiuta e inedita fino al 1972. Come compendio del «grande libro», scrisse in breve tempo l’Origine delle specie per selezione naturale (1859), stimolato dal fatto che il naturalista Alfred Russel Wallace gli aveva comunicato una teoria molto simile alla sua. Tuttavia, Darwin non fu il primo a respingere la dottrina secondo cui ogni specie è sorta per creazione diretta e ad affermare invece che le specie attuali sono le discendenti di quelle che si sono succedute nel corso della storia della vita. L’idea della continua trasformazione dei prodotti della natura aveva circolato già nel Settecento, soprattutto fra i materialisti francesi, e aveva trovato una sistemazione nella prima teoria evoluzionistica, esposta da Jean-Baptiste de Lamarck nei primi anni dell’Ottocento. […]
Nell’Origine delle specie, però, Darwin propose un meccanismo evolutivo che andava oltre la nozione lamarckiana secondo cui gli organismi si modificavano per effetto, diretto o indiretto, della loro interazione con l’ambiente fisico. La teoria darwiniana conteneva non solo una spiegazione della «discendenza con modificazione» degli esseri viventi gli uni dagli altri, ma una nuova immagine della natura, e Darwin era consapevole di aver avviato «una grande rivoluzione nella storia naturale». Innanzi tutto, la dimensione storica entrava definitivamente nel modo di pensare la natura vivente. In secondo luogo, era distrutta la concezione tipologica o essenzialista delle specie e delle unità tassonomiche, secondo la quale gli individui e le varietà erano copie più o meno fedeli di forme o tipi o modelli ideali (quando non di idee nella mente del Creatore). Infine, viene assestato un colpo mortale sia alle concezioni finalistiche secondo cui l’ordine della natura era il risultato di un progetto, sia alle dottrine teologico-naturali secondo cui distruzione e morte erano il prezzo da pagare perché vi fossero equilibrio e armonia.
(da A. La Vergata, Positivismo, utilitarismo, evoluzionismo, in Storia della filosofia occidentale, vol. 5, Dal moderno al contemporaneo, a cura di G. Cambiano, L. Fonnesu, M. Mori, Bologna, Il Mulino, 2015)*