• Arte e sacro

    Il ruolo delle pratiche artistiche nelle tradizioni religiose

Arabeschi

L’aniconismo islamico tra ornamento e scrittura

  • Giovanni Curatola

    Professore di Archeologia e storia dell’arte musulmana – Università di Udine

  • venerdì 24 Gennaio 2025 - ore 17.30
Centro Studi Religiosi

Nel Corano non si proibiscono mai raffigurazioni naturalistiche: non più di quanto non si prescriva un velo alle donne o si sconsigli agli uomini di cancellare con una rasatura perfetta i tratti primigeni del volto di Adamo. È comunque tradizione di un Islam divenuto, da beduino, cittadino, cioè derivata da suggestioni culturali dell’Oriente mediterraneo metropolitano (e non manca chi sostiene che proprio l’iconoclastia venga da quell’Occidente), ed è tradizione sancita nei hadìth, che le donne si velino, che gli uomini non si devirilizzino, che nessuno si proponga di mettersi in competizione con Dio, l’unico in grado di dare alla luce un’opera completa in quanto provvista, fra l’altro, di vita. Lo spunto scritturale più preciso è un passo coranico in cui si ammonisce che le creature forgiate dall’uomo, ovviamente prive perciò di vita, si animeranno nel Giorno del Giudizio per tormentare il loro temerario fabbricatore. È una maniera immaginifica e allusiva (com’è sempre immaginifico e allusivo ogni discorso sull’Aldilà) di applicare il concetto del contrappasso, o del “contrappeso” – per cui anche i torti commessi, i beni mondani e le persone ingiustamente maltrattate graveranno sul peccatore in bilico sull’ultimo esile ponticello del Transito – all’empietà di tipo prometeico. Ma oltre che al superbo Prometeo, ladro di scintille e modellatore di creature, si pensi anche a un certo Gesù degli Apocrifi che un po’ troppo alla leggera, sentendosi figlio di Dio, forgia esseri di creta, li anima, li annienta, li resuscita. Invece la “fabbricazione” di Adamo non è imitabile, e neppure gli esseri più vicini a Dio, che comunque Dio non sono, dispongono della relativa “ricetta”. In quest’ordine di idee, accanto alla polemica anti-magica che esorta a non invocar fantasmi se non se ne vuol diventare vittime, è da considerare lo slittamento mistico del tema del peccato di superbia di Lucifero (Iblìs), l’angelo che «non si prosternò dinanzi ad Adamo novellamente creato». Tale rifiuto di piegare il capo in quel solenne momento può essere inteso come rifiuto di obbedienza, nel caso rifiuto di riconoscere la superiorità di un essere dalla natura inferiore a quella angelica, e tuttavia libero, proprio perché in grado di peccare; ma è stato inteso anche come atto di empia “curiosità”: curiosità di scoprire come facesse Dio a infondere la scintilla della vita in quell’impasto, per poi sopperire con la magia all’attività divina. Perché la legge universale di Dio, che è fisica, chimica, biologica e morale insieme, può essere seguita, ricostruita e ripercorsa (e la ricerca umana in quanto applicazione, la medicina per esempio, non è solo lecita bensì auspicabile e meritoria), ma non emulata. Di qui, se mai, una differenza fra la pura tecnicità della tranquilla ricerca scientifica islamica medievale e il carattere coscientemente magico della più tarda ricerca europea proto-moderna, maniera rinascimentalmente rivoluzionaria di ribaltare l’altolà, ignoto all’Islam, posto dal cristianesimo alle ansie conoscitive dell’Ulisse dantesco. Conoscere, dunque, va bene, presumere di riprodurre non va bene. Tuttavia, l’esigenza “riproduttiva”, “fabbricatrice”, “poetica” nel senso etimologico greco, è insopprimibile nell’uomo, e quello musulmano non fa certo eccezione. Ecco allora, in sede speculativa, un assorbimento anche del fatto creativo nel fatto semplicemente tecnico. L’arte è un eterno ripetere, a onore esclusivo delle menti, e delle mani, create da Dio, in perenne gara di virtuosismo. Più rito, dunque, che mimesi: l’arte non sarà “nipote di Dio”, come in Occidente (in quanto figlia della Natura, figlia di Dio), bensì, piuttosto, una sorta di commento della creazione: un portare in piena luce, e sottolineare, i ritmi essenziali di questa.

(da G. Curatola e G. Scarcia, Le arti nell’Islam, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1990, pp. 20-21)*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

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