Con il termine biopolitica, ha spiegato Roberto Esposito, ci si riferisce all'implicazione sempre più intensa e diretta che si viene a determinare nella modernità, e in particolare con Hobbes, tra le dinamiche politiche e la vita umana, intesa nella sua determinazione biologica. L'uomo moderno, infatti, proiettato nel suo fuori, senza più la protezione trascendente della fede, si pone il problema di costruire un apparato immunitario che possa garantirgli la sicurezza personale rispetto ai rischi collettivi. Nel Novecento, poi, la questione della vita biologica, del suo mantenimento, del suo sviluppo, assume una rilevanza politica decisiva, in quanto diventa la posta in gioco di tutti i conflitti, fino addirittura, con i totalitarismi, e il nazismo in particolare, a rovesciarsi in fattore di produzione di morte. Queste esperienze storiche costituiscono un punto di rottura che ha portato l'essenza stessa della biopolitica alla massima antinomia, facendola diventare tanatologia.
La catastrofe della seconda guerra mondiale tuttavia ha segnato solo la fine di quel tipo di biopolitica. Roberto Esposito ritiene, infatti, che la biopolitica costituisca l'essenza della storia contemporanea, come si può vedere dal rilievo sempre maggiore assunto dall'elemento etnico nelle relazioni internazionali, fino all'impatto delle biotecnologie sul corpo umano, dalla centralità delle questioni sanitarie in tutti i programmi di governo all'esigenza di sicurezza di fronte alle minacce del terrorismo.
Oggi però è soprattutto in gioco la "vita del mondo", il quale è sottoposto ad un'unica minaccia globale. Da questo punto di vista, Roberto Esposito ha presentato l'esempio dell'esperienza in Iraq come significativo della tendenza che si sta affermando nel contesto attuale a sovrapporre la ricerca della pace e l'uso della guerra, l'attacco e la difesa, la vita e la morte. È per contrastare queste pericolose confusioni, che Roberto Esposito ritiene urgente pensare una "biopolitica positiva": una politica, cioè, "non più sulla vita, ma della vita", che rispetti la costituzione singolare e molteplice dell'esistenza umana, come rappresentato nell'idea di "nascita", cioè di produzione continua di differenze e di pluralità sia nella vita singolare che in quella collettiva.