La metamorfosi di Ecuba in cane dallo sguardo igneo può benissimo chiamare in causa anche la dea Ecate. Ma più che pensare all’Ecate dea del parto e della maternità felice e prolifica, difficilmente conciliabile con questa immagine di focosa cagna erinnica, si può pensare a un altro aspetto della dea, che non riguarda la sfera della maternità, bensì quella dell’inviolabilità dei confini e delle soglie. La regina troiana è infatti «cagna» in quanto cacciatrice selvaggia e implacabile, ma anche perché è gelosa custode di una giustizia di parte, della giustizia di una madre contro chi ha violato, uccidendole il figlio, il confine invalicabile della norma di dike. In quest’ultimo dominio, il cane vendicatore incrocia gli spazi di Ecate «Guardiana» (Phylax) e «Portinaia» (Prothyraia o Propylaia). Non è un caso, forse, che sia le Erinni sia Ecate fossero entrambe divinità associate al cane e nel contempo entrambe connesse con la follia, entrambe dee guardiane di confini e soglie invalicabili, cacciatrici e portatrici di fiaccole, le luci nella tenebra. Le loro figure si sovrappongono in molti punti, non ultimo per il fatto che Ecate era, al pari dell’Erinni, una divinità dell’oltretomba particolarmente incline a mostrare il lato vendicativo della sua suscettibile natura. (…)
Se nei confronti del cane, i Greci nutrivano preoccupazioni di seducibilità – perché il cane può lasciarsi sedurre dal cibo offerto da mani estranee – non meno forte era, a quanto sembra, il sospetto che gravava sulla sua seduttività: capace di illudere e ammaliare, il cane mostra allora un’ennesima maschera di ambiguità. Dell’«indole cagnesca» di Pandora fanno in questo senso parte anche le «menzogne e i seducenti discorsi» del cane: la seduttività maliarda che il sainein è in grado di rappresentare. Segnale codificato di affidabilità e benevolenza, profferta di amore e devozione, sul fare le feste del cane si insinua il sospetto di usi obliqui e interessati e all’immagine rassicurante della bestiola espansiva si sostituisce allora quella del cane adulatore e subdolo ingannatore.
Bisogna a questo punto ricordare come uno dei più celebri cani del mito usasse proprio il sainein per i suoi scopi odiosi. Si tratta di Cerbero, il fedele cane da guardia di Ade, il quale, a detta di Esiodo, possedeva una tecnica veramente diabolica. Diligentemente piazzato sulla soglia dell’oltretomba, il tremendo cagnaccio scodinzolava a tutti quelli che arrivavano, inducendoli ad entrare nella dimora del padrone: poi, però, non li lasciava più uscire. Che strano cane da guardia! Un normale cane guardiano non invita gli estranei ad entrare facendo le feste a chiunque si avvicini: al contrario abbaia e li tiene lontani. Anzi, il tipico difetto del cane da guardia “terreno” è proprio quello di non fare entrare nemmeno coloro che il suo padrone vorrebbe ospitare. Ma questo guardiano festante ha dei buoni motivi per comportarsi così, a rovescio: è degno cane del suo padrone, Ade «che tutti accoglie», la morte che tutti ospita e nessuno lascia più tornare fuori. La spaventosa immagine di Cerbero è dunque costruita in Esiodo sullo stesso tipo di rovesciamento che fa di Ade il “generoso” albergatore di tutti i mortali: e la facile discesa dell’uomo nel regno dell’oltretomba è favorita da un invitante, e spaventosamente sinistro, sainein canino.
(da C. Franco, Senza ritegno. Il cane e la donna nell’immaginario della Grecia antica, Bologna, il Mulino, 2003, pp. 217 e 274-275)