Se si vuole essere rispettosi del pensiero dei riformatori del secolo XVI, incombe l’obbligo di riconoscere nel modo più chiaro possibile che essi non furono degli avveduti politici o dei lungimiranti promotori di riforme sociali, bensì banditori di un messaggio religioso che può essere espresso in questi termini semplicissimi: solo Cristo, sola grazia, sola fede, sola scrittura, sacerdozio universale dei credenti. Ciò vale non solo per Lutero, ma anche per Zwingli e Calvino, che pure furono più attenti alle ripercussioni sociali delle loro idee teologiche. Occorre dunque essere alquanto più sobri e possibilmente più umili degli studiosi del primo Novecento (Ernst Troeltsch o Max Weber) nell’accoppiare insieme protestantesimo e mondo moderno. Non si può disconoscere, tuttavia, che la Riforma contribuì, e talora notevolmente, non solo alla nascita di una nuova concezione di Dio e dell’uomo, ma anche della chiesa e della società nei primi anni dell’età moderna. Nel quadro storico della visione protestante dei rapporti sociali ed economici vi è stato posto per le esperienze le più diverse e non sono state poche le fratture tra ideali professati e condotta di vita, ma due caratteristiche restano indelebili: il lavoro inteso non più in funzione subalterna, bensì come vocazione; la coscienza del dovere e la devozione al pubblico bene.
Riferimenti Bibliografici
- R. Bellah, Le abitudini del cuore. Individualismo e impegno nella società complessa, Roma Armando, 1996;*
- E. Campi e M. Rubboli (a cura di), Protestantesimo nei secoli. Fonti e documenti, 2 voll., Torino, Claudiana, 1991-1997;*
- M. Miegge, Vocazione e lavoro, Torino, Claudiana, 2010;*
- E. Troeltsch, Le dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani, 2 voll., Firenze, La Nuova Italia, 1941-1960;*
- M. Walzer, La rivoluzione dei santi. Il puritanesimo alle origini del radicalismo politico, Torino, Claudiana, 1996;*
- M. Weber, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze, Sansoni, 1965.*
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